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Emil Cioran e i videogames

Mi piace immaginare che Emil Cioran,  il grande filosofo rumeno scettico e nichilista, il cavaliere del malumore cosmico, avrebbe chiamato il suo amico di tutta una vita, Mircea Eliade, alle prese con la sua monumentale Storia delle Religioni, o l’altro grande amico, il drammaturgo Eugen Ionescu, impegnato nel suo Teatro dell’assurdo, per farsi due risate ciniche e per parlare di… videogiochi!  Questo dopo aver saputo che l’ultimo lanciato sul mercato si apriva con uno dei suoi più conosciuti aforismi:

Noi non abitiamo una nazione ma una lingua. Non bisogna commettere errori: la nostra lingua è la nostra madre patria.

Un dialogo surreale, senza dubbio, nel quale sarebbe spuntato forse anche il nome di Mark Twain, anche lui ignaro protagonista di un altro videogioco, nel 2014. “Sono in buona compagnia”, avrebbe detto Cioran, e forse avrebbe ricordato che lui non amava guardare nemmeno la Tv e che non ne aveva mai posseduta una! Infine sarebbe inevitabilmente sprofondato nella sua ineffabile nostalgia. 

metal gearIl videogioco Metal Gear Solid V: The Phantom Pain,  prodotto dal giapponese Hideo Kojima, è uscito nel settembre 2015 e fa parte della saga del Big Boss, l’eroe svegliato dal coma dopo 9 anni, in questa edizione distrutto, umiliato dalla guerra e dalla violenza. Il gioco è un viaggio surreale nella sua mente travagliata prima, dopo e durante il coma.

L’aforisma di Cioran introduce il tema più importante di questo videogioco. Si parla di una guerra che porta la perdita di identità, la cancellazione dell’uso della propria lingua, un vero e proprio dramma esistenziale.  Il protagonista,  con il suo inglese marcatamente est-europeo, ci fornisce indicazioni geografiche sulla terra che ha perso.

Non è un caso che i creatori del gioco abbiano scelto le parole di Emil Cioran, una vita la sua in cui la perdita di identità è centrale. Scrittore e filosofo rumeno, trasferitosi in Francia e divenuto uno dei più apprezzati scrittori in lingua francese del ‘900, ha smarrito la sua terra, lasciata nel 1937 per una borsa di studio a Parigi, per non rivederla mai più. E’ rimasto tutta la vitacioran studente apolide, non ha mai chiesto la cittadinanza francese e paradossalmente quella rumena gli è stata ritirata dal regime comunista dopo la sua “fuga”. A 31 anni era ancora un eterno dottorando e mangiava alla mensa universitaria. Viveva in una modesta pensione parigina pagata col supporto dell’amico Mircea Eliade, console in Portogallo all’epoca, che gli inviava pacchi di sigarette che Cioran vendeva di notte in qualche bar. Si narra che con una stecca di Camel riuscisse a pagare la pensione per un mese. 

Non è mai stato ricco, nemmeno quando era diventato uno scrittore di culto. Non amava i salotti né i premi letterari. In tutta la sua lunga attività ne accettò uno solo, nel 1950, il premio Rivarol,  per il suo libro di debutto in Francia, Sommario di decomposizione.

“Non si può accettare denaro per le cose terribili che dico“, ripeteva.

Non concedeva quasi mai interviste, non guardava la Tv, non leggeva i giornali.  Il filosofo nichilista, misantropo e pessimista si sentiva prigioniero di una metropoli intellettuale soffocante, fatta di cemento e ideologismi alla moda.  Quando Albert Camus gli aveva detto: “E’ ora che lei entri nella circolazione delle idee“, Cioran gli rispose: “Vai a farti fottere”. Amava Parigi solo perché, secondo lui,  era la città ideale per un fallito, l’unica città al mondo dove si può essere poveri senza averne vergogna, senza complicazioni, senza drammi.

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Emil Cioran nel suo appartamento a Parigi

E’ stato un teorico del suicidio senza averlo mai tentato. Quando, nel 1988, si diffuse la voce che l’avesse fatto, France presse, gli telefonò ed ottenne questa risposta:

La mia opera non è un’ apologia del suicidio, ma il suicidio è un’ idea benefica, un potere, una forma di libertà . La vita è sopportabile perché c’ è la possibilità di uccidersi

Il suo più grande dilemma interiore è rimasto per tutta la vita l’appartenenza ad una cultura minore, ad una lingua che nessuno conosceva. Ha vissuto l’esilio diviso tra rabbia e nostalgia, proclamando spesso la sua estraneità alla Romania, al “genio di un popolo irrealizzato” destinato “a vivere e morire per niente”. Nel 1939, mentre traduceva in romeno Mallarmé, decise che non sarebbe mai più rientrato in Romania e che avrebbe scritto solo in lingua francese:

Improvvisamente mi sono detto: “Che assurdità! A cosa serve tradurre Mallarmé in una lingua che nessuno conosce? Che cosa vuoi che faccia col mio romeno a Parigi? Avevo rotto con la Romania: non esisteva più per me (…) rappresentava solo il passato. Perché, allora, scrivere in romeno?

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Eugen Ionescu, Mircea Eliade e Emil CIoran a Parigi

Sembrerebbe che volesse a tutti i costi dimenticare il suo paese, tanto amato, tanto odiato, abbandonando anche la propria lingua. I suoi libri scritti in francese furono tradotti in rumeno solo dopo la caduta del regime comunista, nel 1989. In Romania, gli autori esiliati, come Mircea Eliade, Eugen Ionescu e Cioran furono messi al bando e rimasero proibiti per 50 anni!

Odiava in modo inesauribile il comunismo e odiava anche Jean Paul Sartre, che ne era l’apostolo parigino. Sedevano uno accanto all’altro al caffè Flore senza scambiarsi neanche una parola. Il suo odio era dettato non solo dalla consapevolezza che il regime comunista aveva mutilato la coscienza del suo popolo, ma soprattutto perché fu lo stesso regime che gli impedì,  per ben 32 anni,  di rivedere il fratello Aurel rimasto in Romania. Mentre Emil Cioran viveva il suo esilio parigino, il fratello veniva condannato a 7 anni di prigione e 8 di lavori forzati, per le sue scelte politiche. Emil sentiva ancora più profondamente l’affetto per la sua famiglia. Da Parigi inviava vestiario, cibi, libri e medicinali, di vario genere, accompagnati da consigli medico-farmaceutici.  Il fratello era come lui, un malinconico incline alla depressione, ma, paradossalmente, è proprio Emil, lo scettico, il re dei pessimisti per definizione, che lo spronava a non lasciarsi andare, a non arrendersi.  E’ stato sicuramente il legame così forte tra i due che ha impedito a Cioran di abbandonare e negare definitivamente le sue origini.

Emil CIoran con il fratello Aurel

Con l’avanzare dell’età, avvertirà sempre più forte il richiamo della propria terra di origine, percepirà istintivamente di essere più romeno di quanto lui stesso volesse o pensasse. Quel fatalismo che aveva attribuito più volte al popolo romeno in realtà gli apparteneva pienamente, come un marchio indelebile, diventato nel tempo l’essenza stessa della sua filosofia e dello scetticismo che ha caratterizzato tutta la sua opera.

“Il popolo romeno, curiosamente, è il popolo più fatalista del mondo. Quando ero giovane mi indignava quel ricorrere a concetti metafisici dubbi – come il destino, la fatalità per spiegare il mondo. Ed ecco che, ora, più invecchio più mi sento vicino alle mie origini. La lingua si vendica su di me, più invecchio e più spesso sogno in romeno. E non posso oppormi a questo” diceva, consapevole di non essere riuscito a “spogliarsi” completamente dell’ingombrante Romania.

La sua casa natale a Rasinari

Malato di Alzheimer, vive gli ultimi 5 anni  senza memoria, incapace di ricordare chi era e cosa aveva fatto nella vita. Negli ultimi giorni, un evento inatteso! Dopo 50 anni trascorsi nel tentativo di cancellare la sua lingua, improvvisamente comincia a parlare di nuovo in rumeno!
I medici hanno spiegato che il ritorno alla lingua materna fa parte del processo dell’oblio: lentamente la malattia ti “confisca” tutti i ricordi in ordine inverso finché,  alla fine,  rimani con la lingua materna e con i primi ricordi dell’infanzia.

Quando muore all’età di 84 anni, Emil Cioran è un bambino felice nel suo maledetto e splendido paese natale, Rășinari, il suo paradiso perduto.

Nota
Emil Cioran non è tornato in Romania nemmeno dopo la morte. E’ sepolto a Parigi, al cimitero degli artisti di Montparnasse.

La tomba di Emil Cioran a Montparnasse




Quante ne hanno fatte i rumeni!

Nel 1903, un giovane inventore presentò all’Accademia delle scienze francese il progetto di un veicolo più pesante dell’aria, che,  secondo lui, avrebbe volato. Non fu compreso e il suo progetto fu respinto, con la seguente motivazione:  Il problema del volo con una macchina che pesi più dell’aria non può essere risolto e si tratta soltanto di un sogno.

Il sognatore era un inventore rumeno, Traian Vuia, che,nonostante tutti i rifiuti, non si arrese,  e, qualche mese dopo, ottenne comunque il brevetto, in Francia e in Gran Bretagna.traian vuia

L’aereo, chiamato “Vuia I”, era un monoplano con un’ampia ala posta in alto e venne completato nel dicembre 1905.  Il 18 marzo  1906 la macchina era pronta a tentare il decollo: l’esperimento riuscì, anche se in effetti non volò, ma si staccò da terra di pochi centimetri, il che fu sufficiente ai giornali dell’epoca per celebrare l’impresa. Il più grande merito di Vuia fu quello di essere riuscito a far decollare il velivolo con i propri propri mezzi e su un terreno piatto, senza l’aiuto di rampe, rotaie o catapulte, come successe tre anni prima, con il velivolo dei fratelli Wright, che decollò invece con l’ausilio di una catapulta.

Quattro anni dopo, nel 1910, un altro inventore e ingegnere rumeno,  un altro sognatore, Henri Coandă, progettò, costruì e pilotò  il primo aereo alimentato a termogetto,  chiamato Coandă 1910, dando così vita al primo aereo con motoreattore della storia dell’aeronautica.  Durante la presentazione pubblica, al Salone Internazionale dell’aeronautica di Parigi, Coandă perse il controllo del velivolo, che precipitò e prese fuoco. Fortunatamente, riuscì a salvarsi. In seguito alla caduta del suo aereo,  osservò che le fiamme e il gahenri coandas incandescente emesso dal fuoco tendevano a restare vicini alla fusoliera. Dopo più di 20 anni di studi di questo fenomeno con altri suoi colleghi, Coandă descrisse quello che in seguito fu battezzato “Effetto Coandă” (tendenza di un getto di fluido a seguire il contorno di una superficie vicina). Questo fenomeno è stato utilizzato in molte invenzioni aeronautiche ed è fondamentale per la progettazione dei veicoli supersonici.

Nel 1922, un ingegnere rumeno, Aurel Perșu, iniziò la costruzione della prima automobile aerodinamica del mondo, a sue spese. L’invenzione fu brevettata in Germania, lo stesso anno, ma l’automobile fu terminata due anni dopo. Per la prima volta al mondo, questa automobile, di forma futurista, ispirata a quella di un uccello,  aveva le ruote inserite all’interno della carrozzeria di alluminio. Dopo calcoli ed esperimenti di laboratorio, l’ingegnere rumeno giunse alla conclusione che la forma ideale di un’automobile, di un veicolo in movimento, era quella della goccia d’acqua quando cade. auto persuRiuscì a calcolare coefficienti aerodinamici validi ancora oggi con un netto anticipo sui tempi. La compagnia Ford si dimostrò interessata al brevetto ma non garantì a Perșu che il suo modello sarebbe entrato nella produzione di serie e, per questo, rinunciò alla vendita. Gli specialisti parlano di alcuni punti deboli dell’auto: il design non troppo conformistico e il confort. Vi si aggiungeva la velocità massima raggiunta, inferiore a quella delle auto dell’epoca, di circa 80 km all’ora. Rimane però la cosa più importante e che nel tempo avrebbe ripagato l’invenzione: per la prima volta si era considerata l’importanza della forma aerodinamica.
Nel 1921, un medico rumeno fecce una grande scoperta, che avrebbe cambiato la vita di milioni di persone:  si tratta dell’ormone pancreatico, ossia l’insulina.  Nicolae Păulescu capì per primo come curare il diabete e nel 1922 ottenne il brevetto per la scoperta della pancreina. Ma il premio Nobel andò, un anno più tardi, a due canadesi, che misero semplicemente in pratica ciò che il ricercatore rumeno aveva scritto nei suoi lavori. Dopo quarant’anni di controversie e contestazioni, il comitato Nobel ha riconosciuto, nel 1969, la precedenza di Păulescu nella scoperta del trattamento antidiabetico, ma, conformemente al suo statuto, ha escluso la possibilità di una riparazione ufficiale. 
Più fortuna ha auvto uno studente rumeno a Parigi , Petrache Poenaru, che viene considerato il creatore della prima penna stilografica ricaricabile. La sua intuizione venne brevettata dal Governo francese, nel 1827, con una descrizione strana che si potrebbe tradurre come “penna portatile senza fine, ricaricabile ad inchiostro“.  Il suo progetto sarebbe diventato la base per le penne stilografiche future e le penne ricaricabili in genere, anche se, all’epoca non ebbe grande diffusione e non diventò mai uno strumento si scrittura di uso comune. Probabilmente nel 1827, un oggetto del genere risultava poco funzionale e troppo sofisticato, o semplicemente, lo studente rumeno di 28 anni era troppo avanti rispetto ai suoi tempi (la penna Biro fu inventata solo 110 anni dopo e le prime penne stilografiche “moderne” di Waterman solo 60 anni dopo).  Lo dimostra anche il fatto che quando  nel 1830 si inaugurò la prima ferrovia al mondo, in Inghilterra, tra Liverpool e Manchester, Petrache era a bordo!
brancusiNon sono stati pochi i rumeni avanguardisti, pionieri nel loro campo.
Vi basti sapere che, ad esempio, se i nostri aerei hanno la forma che hanno è grazie all’ingegnere rumeno Rodrig Goliescu, che ha costruito il primo aereo con la fusoliera; o che l’utilizzo del cemento nell’architettura moderna lo dobbiamo a un altro ingegnere rumeno,   Anghel Saligny,  che progettò e costruì, nel 1895, il ponte più lungo d’Europa (all’epoca anche il terzo del mondo), il ponte di Cernavodă, sul Danubio.
Non è un’esagerazione affermare che la scultura moderna senza il suo patriarca, il rumeno Constantin Brâncuși, sarebbe diversamente… ricca!  L’approccio culturale alle religioni avrebbe avuto un percorso più totruoso senza il primo Trattato di Storia delle religioni, scritto da  Mircea Eliade,  filosofo e scrittore rumeno. L’originalità del suo lavoro non si basa una semplice sistematica classificazione delle religioni in base ai popoli, ma, per la prima volta nella storia, parte dagli “oggetti” del culto e ne studia l’espressione, in modo comparativo, presso i vari popoli: ci pone di fronte al Cielo, al Sole, alla Luna, all’Acqua, alle Pietre, alla Terra, e ne delinea i culti, che nelle religioni dei diversi popoli assumono le loro particolari individualità in maniera certosina.
Agli amanti del teatro e della drammaturgia dico un solo nome: Eugen Ionescu, il fondatore del teatro dell’assurdo, uno degli autori più innovativi e profondi del Novecento e aggiungo qualche titolo: La cantatrice calva, Il rinoceronte, Il re morto. Anche Eugen Ionescu era rumeno. 
tarzanParliamo un po’ di cose (semi)serie…
Il primo attore che ha interpretato Tarzan nel cinema, nel 1932, Johnny Weissmuller, è nato in Romania, vicino Timisoara.
Il primo portiere di calcio che ha parato quattro rigori consecutivi era rumeno, Helmuth Duckadam. Nel 1986,  la sua squadra, Steaua București vinse la Champions League contro il Barcellona, grazie ai quattro rigori parati da Duckadam. Dopo la sua impresa senza precedenti è stato nominato dalla stampa del mondo “Il Superman della Romania”.
Un’altra impresa senza precedenti riuscì, a solo 14 anni, una delle più grandi ginnaste del mondo, la rumena Nadia Comaneci, la prima ginnasta ad aver ottenuto il punteggio massimo in una competizione olimpica. Nel 1976, alle Olimpiadi di Montreal, dopo il suo esercizio impeccabile alle parallele asimmetriche,  l’attesa del punteggio fu più lunga del solito, lo ricordo con emozione, e  alla fine, sul tabellone elettronico apparve il numero 1.00, che voleva essere invece un 10, ma i computer non erano ancora preparati alla perfezione. E’ solo grazie a Nadia se il comitato Olimpico fu obbligato ad aggiungere una cifra al tabellone elettronico!

nadia