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Noi che sognavamo Nino d’Angelo

Negli anni ottanta ero un’adolescente nella Romania comunista di Ceaușescu, andavo al liceo e vestivo una divisa nera, con una matricola cucita sul petto, i capelli lunghi e ribelli raccolti in due treccine strette e “domati” da un frontino di raso bianco.
Non avevo l’imbarazzo della scelta su come vestirmi o pettinarmi, la linea guida del partito ci imponeva tutto in maniera “democraticamente” obbligatoria.
Ricordo che una volta a settuniforme comunismimana il corpo docente ci riuniva nel cortile della scuola redarguendo pubblicamente  i “ribelli”, quelli che non avevano la matricola o che erano senza frontino!

Più il nostro corpo veniva costretto in queste divise sciatte e uniformi (in effetti si chiamavano proprio uniformă), più la nostra mente vagava in spazi sconfinati nutrendosi di sogni proibiti.
Niente di trascendentale, sognavamo un paio di jeans, di bere una coca-cola, di leggere Paris Match e di incontrare…Nino D’Angelo! Ebbene si, anche lui ha avuto un ruolo importante nel processo di democratizzazione della Romania comunista!

Un giorno mia sorella tornò a casa piangendo, aveva appena litigato con il suo fidanzato, si buttò sul letto in preda alla disperazione e, guardando il poster che avevamo appeso nella stanzetta, disse tra i singhiozzi: “Per uno come questo vale la pena soffrire, non per uno come Mihai!!!nino d'angelo

Faccio fatica a crederci oggi, ma il ragazzo che la osservava nel poster con un caschetto biondo, gli occhi azzurri e il viso da bravo ragazzo, era proprio Nino D’Angelo.

Davanti allo sguardo innocente di Nino, mia sorella rivalutava i suoi gusti in materia di ragazzi. Non sapeva nemmeno chi era questo Nino D’Angelo (il poster era uscito da un giornaletto che un amico di mio padre ci portò dalla Germania dell’Est), ma la sua presenza nella stanza fu destinata a durare per parecchi anni a venire, rincuorandoci e rassicurandoci costantemente ad ogni nuova delusione amorosa.

nino d'angelo 2E’ inutile dirvi che oggi la reazione dei miei amici napoletani, quando racconto l’episodio, oscilla tra compassione, incredulità e ilarità e non li posso nemmeno biasimare. Ma all’epoca era un sogno proibito, la trasgressione esterofila anticomunista!
Non è un caso che Nino D’Angelo abbia stabilito, proprio in  Romania, un invidiabile record restando in vetta alle classifiche per settimane nel 2004 con la canzone Senza giacca e cravatta. Niente di strano se non fosse che la dittatura era terminata nel 1989 e che la canzone in questione era stata pubblicata nel 2000, ben 4 anni prima del suo successo! Il motivo fu un semplice concerto di Nino D’Angelo a Bucarest nel 2004 che improvvisamente risvegliò i ricordi e i languori di migliaia di donne cresciute con la sua foto sulla testata del letto.

Ma negli anni ’80 qualcosa stava per cambiare per sempre: scoprimmo Toto Cutugno! Fu la grande svolta,  più della nostra educazione sentimentale che di quella musicale!
Tutto cominciò quando il regime comunista decise a sorpresa, nel 1983, di trasmettere in TV la serata finale del Festival di Sanremo. La cosa durò solo per un paio di anni, ma fu abbastanza per farci sognare.

san remoIl paese era tutto davanti alla tv a guardare uno spettacolo che sembrava arrivare da un altro pianeta: fiori, luci, abiti eleganti, lusso, musica romantica e uomini bellissimi (vi ricordo che le poche trasmissioni che ci passava la tv di Stato erano poco più che politiche e quasi sempre autocelebrative del regime).
Lo so che è difficile da capire ma, dovete credermi, per noi l’Italia rappresentava il vero sogno di Libertà, più o meno come la vostra “America” del dopoguerra senza velleità lavorative, con l’aggravante che per noi era proibito andarci.

Quando uscì, la canzone “L’italiano” diventò il nostro secondo inno nazionale e Toto Cutugno fu per noi l'”Italiano vero”(!). Era l’uomo più bello del mondo, con la sua chioma nera e i suoi occhi teneri, il prototipo del maschio italiano, tenebroso e romantico.Toto_Cutugno

Se l’Italia è diventata il nostro sogno proibito, la “colpa” è principalmente sua e della musica italiana: i Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina, Riccardo Fogli, Umberto Tozzi...  Questa musica era la nostra finestra verso la libertà, verso l’occidente proibito, e negli anni più bui del comunismo, era una specie di benedetto “salvagente” dell’anima. Non a caso tutti questi artisti hanno rilanciato la loro carriera musicale proprio in Romania e in Russia, dove riempiono ancora i palazzetti.

Per il regime comunista, la musica straniera era un simbolo di decadenza morale, rappresentava il capitalismo “marcio e pericoloso”, ma, non si sa per quale ragione, in radio andavano molto i cantanti italiani, qualche francese, i tedeschi della Germania dell’Est e Julio Iglesias.
Era assolutamente vietata la musica americana!
Qualcuno sostiene che il nostro dittatore Ceaușescu e la moglie gradivano la musica italiana perché pulita, solare, positiva, “innocua”, insomma, non era il rock o l’ heavy metal americano che trasmetteva sentimenti “sovversivi” e la voglia di rivoluzione.
Le canzoni italiane parlavano d’amore, non quello carnale (in Romania parlare di sesso era tabù), dei bei sentimenti,  degli “sguardi innocenti”,  del “restare vicini come bambini”, dei “raggi di sole”, del “sorriso che sa di felicità”.
Non capivamo bene l’italiano e probabilmente neanche la censura dell’epoca capiva che, tra tutti questi “sguardi innocenti”, si parlava anche di amore fisico, anche se non esplicito.
al bano rominaAl Bano e Romina erano tra i preferiti della coppia presidenziale, erano belli, puri, avevano molti figli, erano sì dei capitalisti ma di quelli buoni e semplici, con valori familiari solidi.
Romina in particolare divenne un po’ la nostra Violetta, giusto per darvi un’idea di quanto importante fosse per noi. Ci vestivamo come lei, con delle camicette bianche senza spalline, ci pettinavamo come lei, ballavamo come lei, con quel movimento ondeggiante delle spalle, cantavamo come lei… (forse anche meglio!).

Sono trascorsi trent’anni e io, tra l’ilarità generale di chi mi sta vicino, ancora mi emoziono quando rivedo le riappacificazioni russe di Al Bano e Romina, i Ricchi e Poveri che si dividono, Toto Cutugno che canta un “Italiano” un po’ acciaccato dall’età.
Non me ne vergogno, li considero una sorta di imprinting post-comunista!

Nino D’Angelo però resta un mistero! Non capivo allora il suo napoletano e non lo capisco ora. Il caschetto rivisto con gli occhi di oggi mi sembra piuttosto imbarazzante, anni luce lontano dalla bellezza di Toto Cutugno… eppure, quando ripenso a quel poster nella mia stanza, un brivido mi percorre impudicamente la schiena!al bano bucarest