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I Castelli tenebrosi dei Carpazi

Quando si parla dei Castelli della Romania il riferimento alla figura del principe Vlad, il conte Dracula, è inevitabile. La sua “presenza-assenza” conferisce ad ogni luogo la dose necessaria di mistero e ad ogni storia un suo alone tenebroso.

In realtà in Romania  non esiste un Castello di Dracula se non nella fantasia degli scrittori e dei registi che hanno trasformato il personaggio storico di Vlad Tepes nella leggenda di Dracula.

Eppure ognuno di questi luoghi è oggi il Castello di Dracula!

verne2Molto del merito va sicuramente a Bram Stoker ma ancora prima, a scoprire il fascino tenebroso della Transilvania, fu Jules Verne con il suo libro chiamato Il Castello dei Carpazi, pubblicato nel 1892che sorprese lettori e critici.  Nella cornice naturale di valli, montagne e insenature, dove le superstizioni la fanno da padrone, si staglia un Castello che incute un “terrore contagioso”. Strane presenze che con il buio, cominciano ad aleggiare fra le sue mura e nelle terre circostanti, sotto forma di voci e suoni sovrumani. Il personaggio Orfanik, uno “scienziato incompreso”, è un Dracula ante litteram con il suo volto pallido e sottile, i lunghi capelli grigiastri, lo sguardo scintillante in fondo alle orbite nere,  che coltiva illusioni maniacali e si difende dal mondo. Melodramma, esoterismo, avventura nell’avventura, soprannaturale, fantascienza, horror sono mescolati in questo libro che dà inizio ad una lunga serie appartenente al genere gotico.

Strigoi
Strigoi

Diciamo la verità, la cruenta anima dacica della Transilvania con le sue mille leggende non fa altro che alimentare questo immaginario. Una su tutte è la credenza millenaria negli strigoi, esseri apparentemente vivi ma senz’anima, i cui spiriti lasciano i loro corpi a mezzanotte e vagano per il paese, turbando il sonno delle persone e lasciandoli privi di forze al mattino. Sono i morti viventi, maledetti immortali assetati di odio e di sangue.

Leggende o verità, sta di fatto che la Transilvania dell’800 doveva incutere davvero paura se né Jules Verne né Bram Stoker ebbero il coraggio di metterci piede per verificare le loro storie!

 

Castello di Bran – il Castello di Dracula

Castello Bran
Castello Bran

Il Castello di Bran, vicino a Brașov, è identificato come “il” Castello di Dracula dalla penna autorevole di Bram Stoker, che, dalla poltrona del suo scrittoio, decise di ambientare proprio qui il suo fortunato racconto. Anche se, come già detto, lo scrittore in realtà non visitò mai la Transilvania, la immaginò e la descrisse come il posto più misterioso d’Europa!  Ma se visitate il Castello Bran alla ricerca di qualche segno di presenza vampiresca del conte Dracula, rimarrete probabilmente delusi. Le guide inizieranno la visita consigliandovi di fare la distinzione tra la realtà storica del castello e il personaggio letterario. Per quanto riguarda il principe Vlad, l’Impalatore, sembra che da queste parti ci sia stato solo di passaggio, anche se, recentemente, uno storico rumeno ha scoperto documenti dell’epoca che dimostrerebbero che, imprigionato dal re ungherese Matei Corvin,  sia stato rinchiuso nelle segrete del castello addirittura per due mesi prima di essere trasferito a Visegrad, dove rimarrà prigioniero per 12 anni.

Castello Bran
Castello Bran

Costruito nel 1377 da Luigi I D’Angiò sullo spuntone di una roccia, il Castello di Bran doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Fu anche punto doganale, poi residenza reale e ora museo di storia, luogo importante per il turismo rumeno e per i cacciatori di vampiri, con oltre mezzo milione di visitatori all’anno.

L’architettura del Castello di Bran si è evoluta nel corso dei secoli ma il fascino è prevalentemente dettato dai caratteri gotici, le scalinate strette e tortuose, i passaggi sotterranei e le torri. La fortezza è stata costruita con blocchi di pietra di fiume e di mattoni, per dare maggiore solidità e sicurezza in caso di battaglia. E’ sormontata da quattro torri nei quattro punti cardinali: la torre della polveriera, la torre di osservazione, la torre a est e la torre della porta.

Castello degli Hunyadi (Corvin) – il Castello di Dracula

Castello degli Hunyad
Castello degli Hunyad

C’è un castello tenebroso nei Carpazi che avrebbe potuto ispirare Jules Verne: si trova a Hunedoara, alle pendici dei Carpați Meridionali,  ed è considerato uno dei più misteriosi castelli dell’Europa dell’Est. Si tratta del Castello degli Hunyadi, detto anche il Castello dei Corvin, che la guida Lonely Planet descrive così: “In nessun luogo della Romania il contrasto tra passato e presente è così stridente come a Hunedoara, dove i giganteschi scheletri di acciaierie abbandonate fanno da cornice spettrale ed arrugginita a uno dei castelli più belli dell’Europa Orientale: Castello degli Hunyadi o Castello Corvino, una fortezza gotica del XIV secolo che si è conservata intatta ed è considerata una della gemme architettoniche della Transilvania“.

Stanza delle torture
Stanza delle torture

Il castello sorge imponente sul sito di un antico castrum romano, nel centro-sud della Romania, non lontano dalla Fortezza dacica di Sarmizegetusa.  Le torri di difesa, le guglie gotiche, i fossati, le mura merlate, i ponti levatoi del castello erano una novità nell’architettura militare della Transilvania del XIV-esimo secolo. L’artefice della trasformazione del castello fortificato in una sontuosa residenza signorile, fu Matei Corvin,  re d’Ungheria, alleato e poi nemico del principe Vlad della Valacchia.  Sono in molti a sostenere che il principe passò qui ben 7 anni della sua prigionia, anche se non ci sono documenti storici a dimostrarlo. Con o senza il principe Vlad rinchiuso qui, il castello è avvolto in un’atmosfera horror misteriosa e terrificante, grazie alle storie che descrivono le peggiori punizioni inflitte ai prigionieri, difficili da immaginare e ancora più difficili da raccontare. La più “leggera” racconta che dodici turchi, incarcerati nella prigione del castello, scavarono per quasi 15 anni un pozzo di 30 metri nel cortile. Lo fecero in cambio della promessa del principe Iancu de Hunedoara di liberarli. Una volta finito il lavoro, chiesero che la promessa fosse mantenuta, ma le loro speranze furono disattese e morirono decapitati.Dalle storie delle tante morti per tortura alle leggende di fantasmi il passo è breve. Nel 2007 la trasmissione televisiva americana Most Haunted Live ha fatto un’indagine durata 3 giorni per verificare la presenza di spiriti nel castello. Non vi furono risultati.

Fortezza di Poenari – il Castello di Dracula

Fortezza Poenari
Fortezza Poenari

E’ l’unica residenza reale del principe Vlad, quella che davvero possiamo chiamare il Castello di Vlad, visto che fu costruito proprio da lui. La leggenda racconta della sua edificazione in soli 3 mesi, da parte dei nobili che furono puniti per l’uccisione del padre e del fratello di Vlad e obbligati a costruire una fortezza su una rocca in mezzo al bosco. Si dice che, una volta terminati i lavori, il principe abbia obbligato i nobili a stendersi a terra e abbia percorso i 1480 gradini della scalinata camminando sui loro dorsi.


Le rovine della Fortezza di Poenari sono ancora imponenti e magnifiche. Da lassù il panorama lascia senza fiato (già a corto di ossigeno dopo tutti gli scalini!) e si rimane veramente estasiati dai Monti Carpazi che ancora ti sovrastano e dal fiume Argeș, sottostante, dove si narra si sia gettata  Elisabetta, moglie del principe Vlad, in seguito alla falsa notizia dell’uccisione di questo da parte dei turchi. E qui potrebbe iniziare un’altra storia, quella del fiume della Principessa..

Fortezza Poenari
Fortezza Poenari




Un Natale stupefacente…in Romania!

Immaginate che per qualche strano intreccio del destino vi troviate in Romania, a Natale, diciamo in Transilvania. Ho scelto questo luogo non solo perché ci sono nata, o perché gli inverni là,  tra i boschi e le montagne,  sono molto pittoreschi,  ma per il semplice motivo che è la regione dove potete vivere ancora le tradizioni natalizie rumene più autentiche.  Supponiamo però che non sappiate niente o quasi niente delle tradizioni di questo paese,  che non sappiate nemmeno se i rumeni ortodossi festeggino il Natale o come lo facciano.  La gente per strada si dice parole incomprensibili, come Crăciun fericit, sărbători fericite, sarmale, cârnaț, cozonac, colinde, plugușor, praznic, che non si avvicinano neanche lontanamente alle sonorità latine dell’italiano. Nei centri commerciali, negozi o ristoranti si ascoltano le incomprensibili colinde, una musicalità lenta, dal testo antico e misterioso…vi sentireste giustamente smarriti e avete bisogno di qualcuno che vi aiuti a passare un Natale indimenticabile. Eccomi qua, sarò la vostra guida immaginaria!

Per iniziare, una breve lezione di rumeno.  In tutte le lingue neolatine, francese, spagnolo, portoghese o italiano,  c’è nella radice della parola Natale, il senso di nascita,  ma non nel neolatino rumeno, troppo facile! Per noi “Natale” si dice “Crăciun”. Per i linguisti, la parola Crăciun deriva da un termine molto antico, di origine tracica, balcanica,  cãrciun” che significava il tronco d’albero e che veniva e viene ancora oggi bruciato la sera durante la notte del solstizio d’inverno per dar forza al sole intorpidito nel suo nuovo percorso verso la rinascita.  Per concludere la breve lezione di rumeno, per fare gli auguri di Natale e di buone feste, le frasi più adatte sono Crăciun fericit (Natale Felice) e Sărbători fericite (Feste felici). 

L’albero di Natale si addobba anche in Rpadureomania, ma nelle case non lo troverete prima della vigilia (qui in Italia è sempre una lotta tra la mia famiglia che lo vuole l’8 dicembre e me che lo vorrei molto più tardi). I bambini lo preparano il pomeriggio del 24, giusto in tempo per i regali che lascerà sotto l’albero Babbo Natale (Moș Crăciun). Nei miei primi 4 anni in Italia sono rimasta fedele alla mia tradizione e addobbavo l’albero solo alla vigilia, non mi abituavo all’idea che a fine novembre c’era qualcuno che lo facevo già. Venivo dalla Transilvania, dove le temperature scendevano a volte anche a 40 gradi sotto zero,  nevicava per giorni interi, gli inverni erano infiniti e il Natale arrivava sempre con montagne di neve.  Da bambina, la mattina della vigilia andavo con mio nonno nel bosco a prendere un bell’abete, su una slitta tirata dai cavalli, che facevano fatica a farsi strada tra la neve che scendeva senza fermarsi mai. Portavamo a casa l’albero ancora pieno di neve ghiacciata e il profumo di resina e bosco che avvolgeva il tepore della casa era inebriante…
Capirete quanta fantasia mi è servita per immaginare un Natale guardando fuori dalla finestra gli aranci colmi di frutta, il mare, il sole, a temperature superano abbondantemente lo zero…   L’albero di Natale a fine novembre…. mah!!!icoana

Il 24 però l’albero sarà lì, in ogni  casa rumena. Il presepe, invece, non fa parte della tradizione natalizia ortodossa e perciò nessun “bambinello” e nessuna grotta vengono raffigurate nelle chiese rumene se non nelle icone bizantine che hanno come tema la nascita di Gesù.
Fanno eccezione le chiese greco-cattoliche, di rito bizantino, che seguono i riti religiosi cattolici.

Visto che è Natale e che sicuramente riceverete qualche regalo, un consiglio utile per quanto riguarda le usanze rumene: non aprite mai un regalo davanti alla persona che ve l’ha donato, è segno di maleducazione. Pensate che al mio primo Natale in Italia sono passata da maleducata proprio perché non scartavo i regali, li prendevo, ringraziavo gentilmente (e con troppo poco entusiasmo) e poi li mettevo via, per quando sarei tornata a casa. Mia mamma mi ripeteva sempre, quando ero piccola, che aprire un regalo subito è come dimostrare una curiosità inaccettabile per una persona educata.

Se aspettate che qualcuno vi inviti a casa sua per il cenone della vigilia,  potrà non succedere mai, piuttosto saranno gli altri ad avvertirvi che passeranno da voi, in serata o in nottata, per portarvi la buona novella della nascita di Gesù, cantando. In Romania, se dici Natale,  dici colinde,  i testi epici rituali,  cantati, che evocano la Nascita di Gesù.  Vengono interpretati soprattutto dai giovani che, vestiti in costumi tradizionali e spesso indossando maschere tradizionali, narrano cantando la nascita di Gesù e l’arrivo dell’anno nuovo. Sono canti densi di simboli rituali. I colindători (i cantanti delle colinde) sono spesso accompagnati da strumenti musicali e vanno di casa in casa per augurare un anno buono, felice e prospero. In cambio ricevono soldi, dolci o frutta e, per tradizione, non escono dalla casa che li ospita senza aver bevuto un bicchiere di grappa o vino… segno di prosperità, si intende! Questa tradizione è presente non solo nelle campagne ma anche nelle grandi città dove non è raro vedere, presso la porta di un condominio, un gruppo copii colindeche suonando ai campanelli chiedono: “Ricevete o no i colindatori?”. Famiglie intere si riuniscono dopo cena e vanno a trovare amici o parenti e cantano alle loro porte i canti natalizi.  Le stesse canzoni risuonano per le strade anche nella notte di fine anno, perché nell’anima dei rumeni vive la convinzione che nel momento del passaggio tra un anno e l’altro, i Colindători  allontanano il male e la negatività dalle loro case portando fortuna e prosperità.

Il senso profondo della notte della vigilia è proprio quello di condividere con l’intera comunità, e non solo con la famiglia, la festa di Natale. Il cenone natalizio non dura molto proprio perché si vuole passare più tempo fuori casa, per le strade, cantando con gioia, in una specie di incontro magico tra te e il mondo intero sotto il segno della nascita di Gesù. Il cenone è brmascatieve,  ma molto ricco. Il protagonista è, suo malgrado, il maiale. In Romania si rispetta ancora, soprattutto in campagna,  la tradizione del sacrificio del maiale nel giorno di Ignat, il 20 dicembre,  tradizione unica nel mondo cristiano, con radici rituali degli antichi Daci, nel giorno del solstizio. Nella loro religione il maiale era sacrificato perché era visto come un simbolo della divinità delle tenebre, che aveva la forza di indebolire la luce del sole nella più corta giornata dell’anno, il solstizio d’inverno. Per venire in aiuto del sole la gente ammazzava il maiale e la carne di quest’animale era un cibo che aveva la forza necessaria per salvare il sole. Non a caso, dopo questo giorno, la luce aumentava gradualmente e il Natale diventava una festa della luce e della vita.

Non sono convinta che tutte queste motivazioni antropologiche possano aiutare a capire il significato di un rituale apparentemente barbaro in cui l’animale viene sgozzato davanti a tutta la famiglia, compresi i bambini, in un’atmosfera di grande festa. Dopo aver pugnalato l’animale, lo si copre con della paglia e si fa il fuoco per distruggere il suo pelo. Successivamente il maiale è lavato con acqua, pulito con un coltello e tagliato (prima di tagliarlo si fa il segno della croce sulla fronte dell’animale e si mastidice “Dio, aiutaci a mangiarlo, salute!”). Qualche volta, la pulitura è preceduta dalla tradizione di coprirlo con una coperta in modo che i bambini possano salirci sopra, perché si dice che in questo modo cresceranno belli e sani.  Le donne preparano la carne facendo tutti i prodotti specifici e nella giornata di Ignat imbandiscono la tavola chiamata pomana porcului (una specie di dono per l’anima dell’animale),  un pranzo a base di carne fresca di maiale. Gli invitati sono le persone che hanno aiutato a sacrificare il maiale e qualche vicino.  Tutti i pezzi del maiale, dalle orecchie fino alla coda,  vengono preparati. Le orecchie, pulite e salate, vengono offerte ai bambini. Sempre in questa giornata si preparano i cibi tradizionali per il giorno di Natale: cârnați (salsiccia), caltaboși (un tipo speciale di salsiccia), jumări (ciccioli), slănină afumată (lardo affumicato). Alcune di queste specialità si fanno affumicare secondo metodi trasmessi da una generazione all’altra. Dalla carne di taiatul porculuimaiale si preparano anche sarmale (involtini di carne macinata in foglia di verza o di viti),  piftie (gelatina all’aglio contenente parti della testa o piedi) e arrosto di maiale.  Tutto il menù di Natale è a base di carne di maiale, non facilmente digeribile, ma sicuramente molto saporito. Sulla tavola troverete anche il dolce tradizionale, cozonac, una specie di panettone farcito con noci o semi di papavero e zucchero.
Vi consiglio quest’ultimo, molto squisito, che accompagnato alla grappa, vi garantirà davvero un Natale… stupefacente!




1 novembre – “Luminație”, la Festa della Luce

Mia nonna diceva sempre che non puoi sentire di appartenere veramente a un posto se non hai i tuoi morti vicino e se non puoi andare ad accendere una candela sulla loro tomba il 1 novembre.  E’ il giorno in cui in Romania si celebra la Festa dei morti, chiamata anche Luminație, ossia la Festa della Luce. Nel cimitero del paese dove viveva non riposava nessuno dei suoi. I miei nonni erano rifugiati di guerra, sono stati costretti a fuggire dall’Ucraina (all’epoca apparteneva alla Romania), nel febbraio del 1944, dopo l’occupazione sovietica, in carrozza, con una bambina appena nata (mia mamma), hanno attraversato buona parte della Romania, vivendo un po’ dovunque, per poi stabilirsi infine a Mintiu, paese natale di mio nonno, nel cuore della Transilvania.  Un villaggio di 400 anime, troppo piccolo e troppo lontano da tutto quello che mia nonna aveva lasciato in Ucraina, prima di scappare via.  Fratelli, sorelle, genitori, amici… tutto svanito in quella notte del ’44.  Per 30 anni non ci è mai potuta tornare per motivi politici, 30 anni di ricordi che la legavano irrimediabilmente alla sua terra, a migliaia di chilometri di distanza. Il regime comunista aveva deciso di tagliare ogni filo che univa le famiglie separate dalla guerra e dagli accordi cinici con i quali le grandi poteri si divisero l’Europa alla fine della seconda guerra mondiale. Non potendo prendersela con la storia, che spesso non lascia scampo, se l’è presa per tutta la vita con mio nonno, “colpevole” di averla amato e di averla portata via e, chissà, forse di averla salvata.

In 30 anni aveva perso tutto della sua vita precedente, tanti amici e parenti da non avere più la forza di contarli. Lontani in vita e lontani anche dopo la morte. E così mia nonna, per una sorta di protesta silenziosa contro le proprie avversità, non andava mai al cimitero del suo paese, nemmeno per accompagnare mio nonno, che,  invece, aveva i suoi genitori e altri parenti seppelliti lì. Piuttosto si chiedeva spesso dove fossero stati sepolti i suoi cari, in quale terra, sotto quale bandiera.

Profira, mia nonna, conduceva così la sua vita, cresceva i propri figli, i nipoti, me, coltivava il suo orto, amava suo marito, si arrabbiava a volte con la Vita e spesso anche con la Morte. Poi arrivava novembre, e solo in quei giorni capivo quanto sofferente potesse essere la vita di questa donna contesa tra l’amore di essere madre e il dolore di essere figlia senza famiglia.

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Nel paese c’era un vero rituale che tutti seguivamo: si andava al cimitero per preparare le tombe, a tagliare l’erba, pulivamo tutto intorno, piantavamo tanti crisantemi colorati. Passavamo giornate intere a curare quel posto, sulla piccola collina, alle spalle della chiesa, in mezzo ad un frutteto. In primavera era un tripudio di fiori bianchi e rosa che finivano poi a terra in un enorme tappeto colorato che avvolgeva come in un abbraccio le croci. Andavamo al cimitero anche noi, i bambini, era l’occasione per stare insieme e partecipare, a modo nostro, ai preparativi della festa. Conoscevamo a memoria tutte le lapidi, i nomi incisi sulle croci, sceglievamo quali erano le più belle e ci piaceva guardare le foto sulle croci, di quelli che non c’erano più e di quelli che erano ancora vivi, ma avevano provveduto, da tradizione, ad organizzarsi per la dipartita.

Era tutto così naturale,  la morte non ci spaventava,  anche perché crescevamo in un tempo scandito dall’alternarsi dalle stagioni, e, soprattutto, dai grandi eventi della vita del piccolo paese: nascite, battesimi, matrimoni e funerali. Era un mondo essenziale e semplice, in cui nessuno pensava che si dovesse nascondere o addolcire una verità cruda come la morte. Eravamo in prima fila ai matrimoni, a saltare, ballare o suonare insieme ai musicisti del paese, a gironzolare intorno alla sposa, mentre la preparavano per il grande giorno, e sempre in prima fila anche ai funerali, a guardare e ed ascoltare affascinati le donne vestite di nero, bocitoare, le cosiddette prefiche (le nostre pero non venivano pagate) quelle che raccontavano, tra un pianto e l’altro, la vita del defunto, come se fosse stato il romanzo più accattivante del mondo. Accompagnavamo il corteo funebre fino al cimitero e nessuno ci allontanava quando la barra veniva calata nella buca e si concludeva la sepoltura. Non mancavamo neanche alla “festa” che seguiva, a cui partecipava tutto il paese, prete incluso, dove si mangiava tanto e si beveva di meno, visto che ad ogni bicchiere alzato si versavano, da tradizione, alcune gocce a terra, per l’anima del defunto.

Quello che mi affascinava di più di tutti i passaggi obbligati del rituale legato alla morte,  era la veglia di tre giorni e tre notti, durante la quale gli amici del defunto si davano incessantemente il cambio, giocavano a carte, mangiando, bevendo,  raccontando aneddoti su di lui, facendogli compagnia senza lasciarlo mai solo. Nella credenza popolare, se il defunto veniva abbandonato, arrivava nell’oltretomba smarrito e triste. Mi ricordo che guardavo questi uomini seduti intorno alla barra aperta, che giocavano a carte e alzavano spesso un bicchiere di țuică (grappa) e brindavano per l’amico scomparso, piangevano e poi scoppiavano a ridere, mentre ricordavano qualcosa di divertente, e gli sentivo rivolgersi spesso al defunto con le parole “Ti ricordi quando…?”… Mi sembrava tutto così strano ma teneramente allegro.

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Mi rendo conto di quanto sia difficile capire un simile rituale per chi è estraneo alla nostra cultura, nella quale il rito funebre è un mix di paganesimo dacico* e di sacro ortodossismo. Non è stato semplice neanche per mio marito quando ha partecipato, qualche anno fa, alla festa dei Morti nel piccolo cimitero di Mintiu, dove è stata infine seppellita mia nonna, mio nonno e altri parenti. Quando abbiamo deciso di andare e di portare anche Matteo, nostro figlio, ha temuto che sarebbe stata un’esperienza troppo impegnativa, dal punto di vista emotivo, per un bambino di 5 anni. Io lo tranquillizzavo e gli ripetevo che la Festa dei Morti non è per niente una commemorazione, ma una celebrazione, ma non era facile spiegare tutto ciò. Si era convinto da solo a breve, quando, una volta arrivato nel cimitero, ha visto il via vai di gente, che si fermava tra le tombe in attesa di visite e visitando a loro volta le tombe degli amici o parenti. La gente si salutava, si abbracciava, molti di quelli che vivevano lontano approfittavano per tornare in paese una volta all’anno, il 1 novembre. E come in una sorta di mercatino rionale, ognuno invitava gli altri a fermarsi davanti alle tombe della propria famiglia, per bere un bicchiere o mangiare un dolcetto, per l’anima dei defunti.  Le tombe stesse si animavano, diventando all’occorrenza tavole da pranzo, banconi di un bar, tutto il cimitero si trasformava in un luogo di un’allegra festa conviviale in cui l’elemento predominante era incredibilmente la Vita.  Il prete passava tra le tombe e celebrava brevi messe per ricordare quelli che non c’erano più tra di noi.  I bambini correvano allegri giocando a nascondino, dietro le croci di pietra, rafforzando ancora di più l’idea che quella giornata era la festa della luce e della vita. Per tutto il giorno, le candele rimanevano accese e al calar della notte il cimitero si trasformava in uno spettacolo incredibile di sconfinate luminarie che animavano la notte fino all’alba successiva. Nessuna croce rimaneva al buio quella notte, perché la luce delle candele accompagnava le anime scese tra noi a ritrovare la strada del ritorno.

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*Il modo in cui si celebra in Romania la Festa dei Morti, il I novembre, ricorda inevitabilmente i riti degli antichi daci, gli antenati del popolo rumeno, che credevano nell’immortalità dell’anima e festeggiavano la morte come un passaggio ad una vita migliore, dove li aspettava il loro dio, Zamolxes. I daci ballavano e cantavano quando moriva qualcuno e piangevano quando nasceva un bambino. Con una simile visione sulla morte, si può spiegare anche perché l’unico Cimitero allegro del mondo si trovi in Romania, a Săpânța, un luogo dove si ride in faccia morte e si trasforma in arte un modo a dir poco originale di esorcizzare la morte. 




“Vedere per credere” o “credere per vedere”? Benvenuti a Padurea Baciului!

Nel bel mezzo della Transilvania, letteralmente “oltre la foresta”, si trova una  foresta maledetta,  oltre la quale c’è solo il Mistero…    

Potrebbe essere questo l’inizio di un’avvincente storia di fantasia, se non fosse che la foresta in causa è vera, si chiama Pădurea Hoia, conosciuta meglio come Pădurea Baciului (Foresta del Pastore). Si trova nel cuore della Transilvania, a pochi chilometri dalla città di Cluj-Napoca, si estende per 250 ettari di terreno ed è vecchia quasi 200 anni. I misteri che la avvolgono non sono semplici leggende (come si potrebbe pensare, visto che siamo in Transilvania!), ma eventi accaduti realmente, sostenuti da centinaia di immagini, riprese video, testimonianze dirette, che hanno fatto il giro del mondo, e da oltre 50 anni di ricerche in cui gli studiosi del paranormale hanno cercato di trovare spiegazioni a fenomeni apparentemente inspiegabili.

baciu4Tutto è iniziato nel 1968, quando la foresta è diventata nota in tutto il mondo per alcuni fatti misteriosi che si sarebbero verificati qui. Il biologo rumeno Alexandru Sift, che realizzava delle ricerche da più di dieci anni, riuscì a sorprendere in alcune delle sue foto  fenomeni incredibili: strani bagliori che spezzavano la notte profonda, oggetti volanti non identificati, umanoidi, sagome dai contorni non definiti e alberi senza foglie che crescono in spire ovoidali.  Le foto (oltre di 60.000, molte delle quali purtroppo andate perse dopo la sua morte) sono considerate ancora oggi dagli specialisti tra le prove più attendibili dell’esistenza degli UFO. Tra i vari eventi inquietanti registrati sul posto, Sift fu vittima, insieme ad altri, di un malore che lo accompagnò per due settimane con febbre e ustioni su tutto il corpo. Conosciuta come “cheratosi Attinica” si tratta di una malattia cutanea dovuta ai raggi ultravioletti del sole. Incuriositi dal fenomeno furono effettuate rilevazioni che riscontrarono in certe zone della Foresta una radioattività superiore a quella prodotta dall’urano naturale!
Dopo aver superato la censura comunista, le foto realizzate da Alexandru Sift furono trasmesse a tutte le agenzie di stampa estere e presentate in tutti i convegni ufologici e scientifici come prove incontestabili della presenza di oggetti non identificati sulla terra. A causa della stessa censura comunista, i romeni appresero dell’esistenza di questi materiali solo nel 1974, quando le ricerche di Sift furono continuate da un gruppo di scienziati con a capo l’attuale presidente della Società Rumena di Parapsicologia, il professore Adrian Pătruț. Considerato uno dei maggiori esperti di fenomeni paranormali registrati nella Foresta del Pastore, ho avuto il piacere di accompagnare Pătruț personalmente, insieme ad un gruppo di giornalisti, in un’inquietante notte di molti anni fa nella foresta… (e devo ammettere che difficilmente cederò al brivido di una seconda visita!). Prima di entrare ci ha avvertiti che la foresta “parla solamente a chi ci crede” e che gli scettici  non vivranno mai un’esperienza degna di essere raccontata. Mi ricordo che quella volta ci mostrò un’anomalia che si registra spesso qui e che riguarda il malfunzionamento dei dispositivi elettronici, fenomeno che non ha trovato altre spiegazioni se non quelle collegate ad attività paranormali. Avevo appena inserito le batterie nuove nella macchina fotografica, feci un paio di scatti nel buio, e le batterie furono di nuovo scariche…  L’operatore che stava con me e riprendeva la nostra visita (all’epoca lavoravo per una televisione locale)  riuscì a fare poco di più, anche a lui la telecamera smise di funzionare dopo pochi minuti. Missione compiuta!, disse soddisfatto il nostro accompagnatore, che conosceva come pochi quel posto.
padureIl cuore della Foresta è costituito da una zona perfettamente circolare, chiamata Poiana Rotundă, dove la vegetazione è stranamente assente. Sono stati prelevati e analizzati campioni di terra di questo epicentro, ma i risultati non hanno mai evidenziato niente di anomalo che possa giustificare la completa assenza di vita vegetale. Un altro mistero, dunque, che si aggiunge ai tanti altri che ci ha raccontato la nostra guida: strane apparizioni invisibili ad occhio nudo che però lasciano traccie fotografiche, dematerializzazioni, luci e ombre comparse all’improvviso dietro agli alberi, un uomo senza ombra sorpreso in una giornata soleggiata di maggio, delle rovine fotografate e poi scomparse il giorno dopo, orme nella neve che scompaiono all’improvviso.

Le misteriose attività paranormali sembrano avere il suo “epicentro” in una zona di Hoia-Baciu dove la vegetazione è inspiegabilmente assente. La zona si presenta come un cerchio perfetto inciso nel bosco. Desertica, non vi cresce praticamente nulla. Sono stati prelevati campioni di terra dal sito e analizzati. Ma i risultati dimostrano che non vi è alcunché di anomalo che possa impedire la crescita di qualsiasi forma di vita vegetale. Tutto regolare, apparentemente.

– See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf

Desertica, non vi cresce praticamente nulla. Sono stati prelevati campioni di terra dal sito e analizzati. Ma i risultati dimostrano che non vi è alcunché di anomalo che possa impedire la crescita di qualsiasi forma di vita vegetale. Tutto regolare, apparentemente.

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Desertica, non vi cresce praticamente nulla. Sono stati prelevati campioni di terra dal sito e analizzati. Ma i risultati dimostrano che non vi è alcunché di anomalo che possa impedire la crescita di qualsiasi forma di vita vegetale. Tutto regolare, apparentemente.

– See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpufdove da sempre non cresce un filo d’erba. Botanici e biologi di tutto il mondo hanno analizzato quel tratto di terra senza però riportare nulla di anormale.

Altra anomalia riguarda il sistematico malfunzionamento dei dispositivi elettronici presenti in tutta la zona dell’Hoia-Baciu Forest, tanto che diversi investigatori non hanno potuto fare altro che riconoscere l’effettiva paranormalità di questi fatti e del fatto che essi possano in qualche modo essere collegabili ad attività soprannaturali. – See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf
Altra anomalia riguarda il sistematico malfunzionamento dei dispositivi elettronici presenti in tutta la zona dell’Hoia-Baciu Forest, tanto che diversi investigatori non hanno potuto fare altro che riconoscere l’effettiva paranormalità di questi fatti e del fatto che essi possano in qualche modo essere collegabili ad attività soprannaturali. – See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf
Altra anomalia riguarda il sistematico malfunzionamento dei dispositivi elettronici presenti in tutta la zona dell’Hoia-Baciu Forest, tanto che diversi investigatori non hanno potuto fare altro che riconoscere l’effettiva paranormalità di questi fatti e del fatto che essi possano in qualche modo essere collegabili ad attività soprannaturali. – See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf

Per  gli appassionati di fenomeni paranormali, di ufologia e di parapsicologia, Pădurea Baciului, è il Triangolo delle Bermuda della Transilvania, l’Area 51 d’Europa, uno degli esempi di fenomeni paranormali meglio documentati esistenti al mondo (tra le altre esistono oltre 1000 foto che riprendono oggetti non identificati che sorvolano la Foresta).
Per il quotidiano britannico The Guardian è tra i 10 posti più spaventosi dell’Europa, insieme alla Collina delle Croci in Lituania, Cappella dei Cappuccini a Palermo, l’Ossario di Kutna-Hora, in Repubblica Ceca e l’Ossario di Halsttat in Austria.

forestaPer gli abitanti della zona, la Foresta è un luogo maledetto, di cui parlano malvolentieri, come se non volessero svegliare gli spiriti che vi dimorano. Se si cerca di ottenere qualche informazione, rispondono semplicemente quello che hanno sentito dire dai loro antenati, ma prima avvertono: “Non vi inoltrate nella foresta perché ci sono delle presenze maligne che non vi faranno più ritornare”. Alcuni parleranno di diavolo, altri degli spiriti della gente torturata qui e che infestano il luogo, altri di fantasmi, di alieni… molti vi racconteranno di sparizioni. La prima leggenda, quella a cui la foresta deve il nome, è la storia di un pastore (in rumeno, baciu significa pastore) scomparso misteriosamente insieme al suo gregge di 200 pecore. Per giorni gli abitanti dei villaggi limitrofi setacciarono l’area, ma dell’uomo e dei suoi animali nessuno seppe più nulla.
Si susseguono storie che narrano di persone sparite nella foresta e ricomparse anni dopo senza sintomi di invecchiamento, con gli stessi abiti e senza ricordo alcuno, persone ritornate dopo poche ore con capelli bianchi, farneticante ed in stato confusionale…
Una cosa è certa, le sparizioni sono accomunate dalla sensazione che hanno avuto i protagonisti di aver perso la cognizione del tempo e dello spazio, indizi che hanno spesso identificato la Foresta Baciu come una sorta di porta d’ingresso verso un’altra dimensione, uno Stargate.

Non mancano coloro che sostengono l’esistenza di una connessione extraterrestre con la foresta. Diverse le testimonianze fotografiche di luci aliene provenienti dal sottobosco e nel cielo sopra di esso. – See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf

Le testimonianze dei numerosi esploratori e ghost hunters che periodicamente visitano la foresta sono considerate da molti attendibili. Tutti quelli che si avventurano tra gli alberi, avvertono una sensazione di malessere generale, ansia, nausea e capogiri. Molti giurano di sentirsi osservati da misteriose presenze rannicchiate dietro i cespugli e di sentire voci spettrali tra le fronde degli alberi.

Il dubbio resta:  Vedere per credere o dovremmo dire credere per vedere?

Mirela Baciu

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Recentemente, l’energia paranormale che avvolge la foresta ha assunto connotati decisamente misteriosi. Basti pensare che un ricercatore di una serie televisiva che si occupa di indagini paranormali, mentre indagava sui misteri che avvolgono tale luogo enigmatico, si sia ritrovato pieno di graffi sotto il suo abbigliamento assolutamente rimasto intonso. Graffi somiglianti a quelli provocati da un attacco animale. Il ricercatore, in seguito all’avvenuto, ha deciso di non continuare l’inchiesta per non compromettere l’incolumità del suo staff. – See more at: http://noiegliextraterrestri.blogspot.it/2014/06/le-enigmatiche-anomalie-della-foresta-hoia-baciu-romania.html#sthash.qW3jRpj5.dpuf