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Natale in Romania: Ignat, il rito pagano e il maiale divino

Se penso a me bambina e al Natale in Transilvania, mi assale una tempesta di ricordi indomabili.  Sono quelle sensazioni forti e contrastanti che, quando vivi lontana dalla tua terra, impari a tenere a bada perché sai che hanno la forza di farti sentire fragile e vulnerabile, in un modo spesso devastante.

Natale è il profumo inebriante di resina e bosco che avvolgeva il tepore della casa, quando portavamo l’abete appena tagliato.slitta-cavalli

La mattina della vigilia andavo con mio nonno nel bosco,  su una slitta tirata dai cavalli, che faticavano a farsi strada tra la neve che scendeva incessante. Mi affascinava guardare dietro e seguire le nostre orme sparire all’istante; mi spaventava il pensiero che avremmo potuto perdere la strada del ritorno.

Natale è anche l’odore del pane appena sfornato che lasciava nell’aria una scia fumante, nel tratto che mia nonna percorreva tra il cortile e la cucina; il profumo amaro dei semi di papavero ammorbiditi nel latte e la vaniglia, che riempivano i cozonac, i nostri dolci natalizi; l’odore penetrante della legna su cui i fiocchi di neve tracciavano i propri disegni ghiacciati, che scomparivano davanti al calore del camino.

Tra tutti i ricordi della mia infanzia c’è ne uno forte e violento, che ho chiamato il mio “silenzio degli innocenti” (dopo aver visto il film omonimo, con Jodie Foster e Anthony Hopkins).  Mi rivedo con le mani che mi coprono le orecchie mentre corrodolci-papaveri in cantina a nascondermi per non sentire tutto il trambusto che animava il cortile dei miei nonni il 20 dicembre, il giorno di Ignat, in cui, per tradizione millenaria, avveniva il sacrificio del maiale. In realtà non mi nascondevo solo per non vedere e sentire il povero animale che veniva ucciso, ma anche perché gli anziani del villaggio credevano che il maiale faceva più fatica a morire se in giro c’era qualche anima compassionevole. Rivedo il cortile grande, sommerso dalla neve insanguinata…

La tradiziomaiale-fuocone di ammazzare il maiale nella giornata di Ignat (un santo della chiesa ortodossa che si festeggia il 20 dicembre, il cui nome proviene dal latino “ignis”, fuoco) ha le sue radici nel rituale precristiano degli antichi Daci.
Nel giorno del solstizio d’inverno, sacrificavano il maiale perché simbolo della divinità delle tenebre, capace di indebolire la luce del sole nella giornata più corta dell’anno. Il sacrificio era un modo di venire in soccorso al sole.maiale

Era credenza comune che il maiale non sacrificato in questo giorno non sarebbe più ingrassato. Ignat era una sorta di ultimo giorno suino!

Non sono convinta che le motivazioni antropologiche possano aiutare a capire il significato di un rituale apparentemente barbaro in cui l’animale veniva benedetto con acqua santa, poi sgozzato davanti a tutta la famiglia, compresi i bambini, in un’atmosfera di grande festa.

Dopo aver ammazzato l’animale, lo si gira verso est coperto con della paglia e si fa un grande fuoco per eliminare il pelo. Successivamente viene lavato con acqua calda, raschiato con un coltello e infine tagliato. Prima bambini-maialeperò si fa il segno della croce sulla fronte dell’animale e si pronuncia la frase “Dio, aiutaci a mangiarlo in salute!”. Qualche volta, la pulitura è preceduta dalla tradizione di coprirlo con una coperta in modo che i bambini possano salirci sopra e saltellare perché si crede che in questo modo cresceranno belli e sani.
Forse vi starete chiedendo se anche io ci saltavo sopra oppure preferivo restare chiusa in cantina tutto il giorno… beh, a cinque anni è ragionevole supporre che volessi crescere bella e sana! In più, l’occasione di mangiare un pezzo di orecchio o di coda che i più piccoli si contendevano era un’imperdibile delizia…

Con i prodotti del maiale, le donne preparavano i cibi tradizionali per la cena di Natale: cârnați (salsiccia), caltaboși (un tipo speciale di salsiccia), jumări (ciccioli), slănină afumată (lardo affumicato). Alcune di queste specialità si affumicavano secondo metodcibi-natalizii trasmessi da una generazione all’altra.

Calata la sera, il capofamiglia imbandiva la tavola e offriva la cena chiamata pomana porcului (una specie di dono per l’anima dell’animale),  a base di carne fresca di maiale e tanta grappa bollita con pepe nero macinato. Alla cena venivano invitati non solo tutti quelli che avevano aiutato alla preparazione dei cibi,  ma anche i vicini.

Molto tardi, nella notte gelida, sentivamo i passi traballanti dei vicini che affondavano nella neve ghiacciata, sommersi dai fumi dell’alcol e del…lardo.

 




Sibiu, la città dove i tetti hanno occhi e i ponti orecchie

Pensate ad una fuga romantica in un posto innevato dove l’atmosfera è fiabesca e i gradi sotto zero risvegliano in voi il gusto dell’avventura; no, non volete scegliere uno di quei luoghi inflazionati dai “romantici seriali”, con strade troppo consumate da passi innamorati. Diciamo che avete voglia di scoprire un posto romantico e, allo stesso tempo, misterioso, dove i tetti a falde hanno occhi che ti sorridono dagli sibiu-inernoabbaini e sonnecchiano dalle soffitte, i ponti hanno orecchie e traballano al sentire di una bugia (soprattutto d’amore)… non sto delirando, seguitemi!

Ok, forse non pensavate proprio ad un posto come questo perché probabilmente non sapete nemmeno della sua esistenza. Si chiama Sibiu, si trova nella terra al di là della foresta,  la Tran-silvania, e il quotidiano britannico The Guardian, l’ha scelta tra le dieci città europee più adatte per una fuga romantica invernale.

Altro che vampiri, lupi mannari e castelli tenebrosi! La Transilvania è molto di più, è ricca di storia e cultura,  di castelli medievali, poderose chiese fortificate, città di mercanti, edifici mitteleuropei, villaggi rurali che conservano ancora l’aspetto e le tradizioni dei secoli che furono. La composizione etnica della regione è ancora più complessa: due popoli “misteriosi”, i siculi ungheresi (Székely) e i sassoni tedeschi, vi hanno vissuto insieme ai rumeni, contribuendo ad arricchire il suo patrimonio culturale. Inoltre,  la comunità zingara, la più numerosa d’Europa, è perfettamente integrata nella vita del paese. E’ una Babele moderna in cui si parlano abitualmente il rumeno, l’unmercatini-natalegherese, il tedesco e il romanes.

Siamo sempre in Transilvania e non può mancare una leggenda a spiegare la colonizzazione di questa terra da parte dei sassoni.

Vi ricordate la storia del pifferaio magico di Hamelin che, per vendetta verso la città che non lo aveva pagato, dopo averla liberata dai ratti, rinchiude tutti i bambini in una grotta e li lascia morire? Nella maggior parte delle versioni non sopravvisse nessun bambino, ma varianti più recenti introducono un lieto fine in cui i bambini entrano in una caverna seguendo il pifferaio magico ed escono nella grotta di Almaș,  in Transpiazza-huetilvania. I bambini portati dal pifferaio magico sarebbero i primi sassoni arrivati in questa terra.

Sibiu, soprannominata anche la piccola Vienna,  è una delle città più rappresentative delle Transilvania, ed è proprio per questo motivo che è stata eletta, nel 2007,  capitale europea della cultura.

Questa città è stata all’avanguardia praticamente su tutto in ogni epoca. A Sibiu vennero aperti l’ospedale più antico della Romania, nel 1292, la prima scuola romena,  la prima farmacia, il primo teatro. Qui venne stampato anche il primo libro in lingua rumena e aperto il primo museo del paese, Brukenthal. Nel 1797 venne aperto a il primo laboratorio omeopatico al mondo, nel 1896 fu la prima città rumena a utilizzare l’energia elettrica; nel 1904 fu la seconda città europea ad avere una linea di tram urbani alimentati ad elettricità.

Nella storia più recente,brukenthal Sibiu ha scritto una pagina importante durante la rivoluzione anticomunista del 1989. Dopo Timisoara fu la seconda città dove la popolazione uscì per le strade a manifestare contro il regime. In quei giorni, a Sibiu, morirono 99 persone.

Quello che affascina oggi è il modo armonioso ed incantevole in cui convivono due atmosfere apparentemente discordanti, quella un po’ moderna, bohemienne degli splendidi caffè, degli edifici sbiaditi, piazza-piccola3con gli artisti di strada e gli innumerevoli festival che si susseguono per tutto l’anno (tra i più rinomati,  il Festival di Jazz e il FRINGE, il Festival di teatro, considerato a pari con quello di Edimburgo) e quella favolosamente medioevale, con gli artigiani al lavoro davanti a vecchie botteghe e infinite mura, bastioni e torri a proteggerla.
Ogni passeggiata a Sibiu inizia dal suo cuore, ossia dalla Piazza Grande, dichiarata Patrimonipiazza-grandeo Unesco. La piazza è delimitata da un complesso colorato di case barocche, come la Casa Blu,  o rinascimentali, come la Casa Haller, con elementi gotici e facciata ornata da leoni.  L’attrazione turistica più importante è il Palazzo-Museo Brukhental, uno dei più importanti edifici barocchi della Romania, ispirato ai palazzi viennesi. E’ stato costruito nel XVIII secolo, dal barone Samuel von Brukenthal, dopo essere diventato il governatore della Transilvania,  come residenza ufficiale e per ospitare la sua vasta collezione d’arte. tetti

Gli edifici che si affacciano sulla piazza hanno una caratteristica singolare: si tratta dei famosi tetti con delle particolari fessure che sembrano occhi che osservano, curiosi, maliziosi e a volte inquietanti. Se volete sfuggire agli sguardi indiscreti dei tetti potete salire nella Torre del Municipio, o la Torre dell’Orologio, del XIII secolo, arrampicandovi sui 141 scalini a chiocciola. La magnifica vista sulla città vi ripagherà di tutta la faticatorre-municipio

Dalla Piazza Grande, passando sotto l’arco della medievale della Torre, si sbuca nell’adiacente Piazza Piccola, invasa dalle terrazze di bar e ristoranti. La strada che da questa piazza scende verso la città bassa è dominata dal Ponte delle bugie. E’ credenza comune che la strutturaponte-delle-bugie abbia orecchie in grado di riconoscere una bugia al punto da cominciare a gemere e traballare. Si racconta che i prìncipi portavano qui le loro future spose a giurare sulla proprio illibatezza. Se il ponte traballava, il principe ingannato buttava giù la ragazza. Un’altra leggenda dice che i cadetti della vicina Accademia Militare baciavano le loro ragazze e facevano promesse spesso non mantenute, ma venivano smascherati. Qualunque sia la verità, una cosa è certa: il ponte è ancora in piedi, dal 1859,  e, nonostante il traballio, di bugie ne avrà sentite sicuramente tante!
Nbiserica-evanghelicaella bellissima Piazza Huet, interamente circondata da palazzi ed edifici dallo stile gotico, si trova la Chiesa Evangelica, del 1300, molto simile alla Chiesa di San Vito di Praga.  Tra le opere conservate al suo interno, due in particolare non possono assolutamente essere tralasciate: si tratta dello splendido crocifisso in legno, del 1445, e del più grande organo della Romania, con 10.000 canne, attualmente utilizzato per importanti concerti.
Finito il giro nella città bassa, al tramonto non perdetevi il cosiddetto “Passaggio delle Scale”, scalinatapassaggio stretta tra mura e case di pietra che collega città alta e città bassa. Con i suoi colori, i suoi archi e la sua prospettiva vi regalerà uno spettacolo unico. Arrivati nel centro storico, fermatevi in uno dei tanti locali della via pedonale Nicolae Bălcescu (tra le più antiche, è del 1492) che di giorno affascina con cortili interni, negozi, laboratori artigianali e vecchi caffè e di sera diventa il cuore pulsante della vita notturna di Sibiu.
cioranMentre assaporate i profumi e gli aromi intensi delle cucine tipiche, tedesca, ungherese e rumena (e i fumi della grappa), leggete un po’ di Emil Cioran, il grande filosofo e saggista che è nato in un paesino vicino e che diceva spesso: “In questa vita non ho amato che tre luoghi: Sibiu, Dresda e Parigi“. Chi sa a quale strada di Sibiu pensava quando scriveva: «Guardo con ineffabile nostalgia quella piccola via solitaria, dove mi piacerebbe passeggiare in questo momento! Impossibile immaginare la mia giovinezza senza di essa”?
 



Întreabă-mă de ce nu votez

M-a sunat sora mea,  dis-de-dimineață,  și avea chef de făcut politică, în ajunul alegerilor din țară. Eu nu prea aveam, recunosc, prinsă cu agitația din Italia, care s-a trezit,  iar,  fără guvern, cufundată într-o criză politică gravă,  într-un moment extrem de delicat pentru Europa. Am încercat eu să-i explic că,  aici,  există riscul alegerilor anticipate, al victoriei extremiștilor, care vor să scoată Italia din Uniunea Europeană și să-i scoată din țară, cu picioare în fund,  pe toți emitalexitigranții. A rămas surprinsă și dezamăgită atunci când i-am spus că nu votez. Chiar dacă argumentul meu nu a fost cel pe care îl invocă majoritatea absenteiștilor,  și anume “nu merg pentru că oricum nu se schimbă nimic“, a ținut să mă apostrofeze,  cu o pildă care circulă pe rețele: Asta cu “nu mă duc la vot pentru că oricum nu se schimbă nimic e la fel cu nu mă spăl pe dinți că oricum nu mă pupă nimeni”, păi tocmai de aia nu te pupă nimeni.

E pentru prima oară, în ultimii 15 ani, când nu votez. Am mers la vot la toate alegerile, în Italia și în România, la cele locale, parlamentare, euro-parlamentare, prezidențiale (doar în România, pentru că în Italia președintele e ales de către Parlament);  mi-am exprimat opinia la referendumul italian, din 2011,  având ca temă privatizarea serviciilor hidrice (care au rămas publice),  dar și construirea unor noi centrale nucleare (care nu s-au mai construit). Am votat și la ultimul referendum din Italia, cel care a dus la căderea guernului Renzi.  Am participat și în 2012, la referendumul din România privind suspendarea președintelui Băsescu. urneUneori am câștigat, de multe ori am pierdut, am fost, pe rând, fericită, mulțumită că mi-am putut exprima, în mod concret,  o opinie, convinsă că votul meu nu era indispensabil, dar era important; am fost, apoi, furioasă și dezamăgită, atunci când am pierdut, a doua zi  juram că nu o să mai votez niciodată, dar am votat mereu. Pentru că nu am crezut niciodată, cu adevărat, că e totuna,  cu sau fără votul meu. Poate că eram naivă sau arogantă, dar am fost întotdeauna convinsă că votul meu contează.

Știu că,  și de data asta,  contează, însă, nu voi vota. Nu din nepăsare sau din indiferență față de ceea ce se întâmplă în România, țara în care nu mai locuiesc de ani buni,  dar de care sunt legată,  în mod iremediabil,  și nici din comoditate, mai ales că,  acum,  există și posibilitatea votului prin corespondență. Nu voi vota din două motive.

Am urmărit campania electorală și am avut sentimentul că asist la o piesă de teatru alputin-soros. După 26 de ani ne temem,  iar,  sau încă,  de ruși și de miliardarul Soros???? Adversarii politici își construiesc și acum, în 2016, discursurile electorale acuzându-se reciproc, pe de o parte, că ar fi controlați,  din umbră, de Soros, pe de alta, că ar fi manipulați de Rusia? Am citit că ar exista riscul unei guvernări empatice cu rușii și mai puțin empatice cu Occidentul, că ar exista la noi o stângă marxistă, a băieților din Primăverii, cu os de nomenclaturist, că românii sunt puși să aleagă dacvin-rusiiă vor o țară occidentală sau o satrapie asiatică, că Soros  și ale lui 660 de ONG-uri și firme vor să controleze totul în România: lemnul, aurul, pământul, universitățile, spitalele…că americanii nu s-au oprit, de data asta, la Berlin, ci au ajuns la Deveselu și în Kogălniceanu, că România ar fi amanetată rușilor, că se va întoarce sistemul securist, dacă nu ieșim masiv la vot. Am aflat că Băsescu vrea să-i împiedice pe cei din PSD și ALDE să își înhațe prada,  în vreme ce Elena Udrea, o femeie cât zece bărbați, promite că va lupta împotriva sistemului.

Între Caragiale și Ionescu, nu știu cine ar fi găsit mai multă inspirație în această campania electorală.

caricatura Nu am auzit vorbindu-se,  în mod serios, despre un proiect comun pentru țară, despre legi prioritare, despre interesul național, fără slogane demagogice, despre poziția României în Uniunea Europeană, despre angajamentele luate de țara noastră, la nivel european, despre imaginea României în lume. Și ajung la al doilea motiv, pentru care nu voi vota.

Sunt în Italia de 15 ani și niciunul dintre guvernele României, niciunul dintre candidații pentru diasporă nu au fost capabili să promoveze o politică eficientă,  care să schimbe percepția negativă pe care o au,  încă, italienii despre noi.

campo-romAcum două săptămâni, în cadrul emisiunii Striscia la Notizia, una dintre cele mai cunoscute emisiuni din Italia, urmărită de milioane de telespectatori, s-a transmis un reportaj,  pe care îl consider scandalos, revoltător și extrem de periculos, despre romii care trăiesc în apropierea rămpilor de gunoi din Roma, în condiții igienice groaznice. Toți cei intervievați au declarat că sunt români,  că au plecat din România pentru că le-au dat foc la case, că nu se pot întoarce pentru că nu au ce face în țară, dat fiind faptul că nu își pot găsi de lucru.  Întrebați fiind, de către reporter, cu ce se ocupă în Italia, au răspuns cu nonșalanță  fură, pentru că altfel, din ce ar putea să trăiască?  Furăm cu toții, avem copii mulți, ce putem face? Un tânăr rom, mascat,  a improvizat o melodie rap în care descria,  cu amănunte, cum intră, noaptea,  în casele italienilor, ce fură și cum fură, declarându-se mândru că poliția nu reușește să îl prindă. Am rămas șocată și m-am gândit la milioanele de italieni,  care au văzut reportajul, la cei care  au fost, la un moment dat, victime ale unor furturi comise de români ( nu puține la număr, din păcate), la toți cei care,  încă,  mai cred că romi și români sunt doar sinonime, la toți italienii care vor vota Liga Nordului,  având,  în fața ochilor,  imaginea disprețuitoare a romului rapper,  de la periferia Romei. M-am gândit la toți românii onești din Italia, care se simt judecați și discriminați, din cauza romilor care fură și care se declară români.  M-am gândit,  apoi, la guvernul României,  care nu a avut nicio reacție în fața acestui atac direct la imaginea țării, m-am gândit la candidații pentru diasporă, care îmi cer votul și care nici măcar nu știu despre ce vorbesc eu aici!

Am crezut întotdeauna că votul e cea mai eficientă formă de protest, dar, de data asta, voi protesta altfel.

https://www.youtube.com/watch?v=XViBP9RTRkQ




San Nicola, la Befana dell’Est

Da bambina,  la sera del 5 dicembre la passavo lucidando gli stivali da mettere fuori porta, sullo zerbino, per quando sarebbe passato San Nicola, il vecchio buono che non si vedeva mai e che lasciava dolci, arance, noci e anche qualche bastone con fiocco, per i bambini disobbedienti e pigri. Mio nonno ci diceva che le scarpe dovevano essere così lucide da potersi specchiare dentro e lanciava una vera gara tra i nipoti, che non risparmiavano nulla, un misto di crema per le scarpe e saliva, tutto per  entrare nelle grazie di San Nicola. Inutile dire che a furia di lucidarle, le scarpe si consumavano prima.

san-nicolaSan Nicola era un po’ la nostra Befana.  Non sapevamo nemmeno che da qualche parte nel mondo c’era una vecchietta che vien di notte, con le scarpe tutte rotte, cavalcando una scopa magica e portando calze piene di dolci e carbone. Scoprire la sua esistenza solo a 30 anni mi ha risparmiato forse  picchi glicemici, ma mi ha privato anche di emozioni che, una volta usciti dal tempo delle favole, si fa fatica a ritrovare.

A dire il vero, non so come se la sarebbe cavata la Befana con i regali, in una Romania impoverita e triste, dove i bambini avevano imparato a non chiedere nulla ma erano felici davanti ad un’arancia verde, ancora acerba, o ad una banana nera, troppo matura, che arrivava a dicembre nei negozi di alimentari e si vendeva sotto banco come merce rara.banane

San Nicola era umile e povero come lo era il mio paese e gli bastava veramente poco per accontentarci. E’ sopravvissuto miracolosamente ai divieti assurdi imposti dalla propaganda comunista,  che aveva sostituito addirittura Babbo Natale (Mos Craciun) con Babbo perdel Gelo (Mos Gerila), con lo scopo di eliminare dal lessico e dal cuore dei rumeni la parola “sovversiva” Natale.

neveSan Nicola era per noi un vecchio buono che, cavalcando il suo cavallo bianco e scuotendo la lunga barba,  portava la neve che sentivamo battere contro le finestre ghiacciate. Sapevamo che san Nicola non era come Babbo Natale, lui non si mostrava a nessuno, ma noi rimanevamo comunque tutta la sera incollati alla finestra aspettando di vederlo.

Ci piaceva ascoltare le storie che mio nonno ci raccontava.

Una lstivalieggenda narrava di come san Nicola avesse salvato tre ragazze di povera famiglia che dovevano essere vendute dal loro padre,  che non aveva la possibilità di dare loro una dote per potersi sposare. Di notte lanciava dalla finestra nelle stanze delle ragazze dei sacchetti  pieni di monete d’oro.  C’era poi una storia da brivido che ascoltavamo nascosti sotto le coperte: un giorno, san Nicola entrò in una locanda il cui proprietario aveva ucciso tre ragazzi facendoli a pezzi e per poi servirli agli ignari avventori. Nicola non si limitò solo a scoprire il delitto  ma resuscitò anche le vittime, diventando di fatto patrono dei bambini.

Il racconto che ci piaceva sentire di più  era quello che  legava il santo ad una figura importante della storia rumena, ossia il principe valacco Michele il Bravo.  Nel 1599, il cardinale di Bari regalò al principe una reliqua, la mano destra del santo con la quale San Nicola era solito benedire, per ringraziarlo del suo ruolo di difensore del cristianesimo nei Balcani. Le cronache del tempo raccontano che il principe valacco andava in battaglia con le reliquie del Santo al petto e questa immagine accendeva sempre la nostra fantasia.

C’ersan-nicola-2a anche la leggenda di San Nicola che vigilava,  verso mezzanotte,  sul Sole che voleva scappare dagli umani lasciandoli senza luce e calore, o quella di Nicola visto come una specie di eroe che salva i marinai dal naufragio. Non potevano mancare gli incantesimi o le divinazioni sulla prosperità dell’anno successivo: si mettevano dei rametti di alberi fruttiferi in acqua per farli fiorire entro Capodanno, dai quali si poteva stabilire la riuscita dei frutteti.san-nicola-3

Infine, c’erano delle regole rigide che dovevamo seguire il giorno di San Nicola: la mattina dovevamo fare un regalo ad una persona povera, non potevamo litigare con nessuno perché avremmo avuto un Natale infelice e nemmeno rimanere indifferenti davanti alla tristezza altrui. Per assicurarci un anno fortunato e ricco bastava lavarci la faccia con la neve della mattina, ma non sempre era possibile, soprattutto negli inverni in cui la temperatura scendeva a 40 gradi sotto zero e trovare della neve morbida richiedeva un vero miracolo degno di un santo.