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Dragobete, la festa rumena dell’Amore

 Non festeggio mai la festa degli innamorati,  San Valentino, perché preferisco Dragobete, la festa antica dell’amore, che in Romania si celebra il 24 febbraio. 

Dragobete è nella mitologia dei daci (gli antenati del popolo rumeno) una divinità simile a Cupido o Eros, è il Dio campestre dell’amore e della fertilità, rappresentato come un giovane affascinante e virile, che faceva innamorare tutti gli animali della terra,  all’inizio della primavera. Si pensava che quel giorno gli uccelli scegliessero il loro compagno per la vita e costruissero il proprio nido. Infatti le leggende narrano che, in questo periodo, gli stormi migratori tornano nei villaggi per cantare e iniziare il periodo di accoppiamento e amore.

uccelliDragobete è anche simbolo della primavera, del risveglio della natura e della fertilità, 24 febbraio è il giorno in cui il dio dell’amore volle celebrare l’unione delle creature del cielo e festeggiare in questo modo l’amore universale, in tutte le sue forme.

Mi ha sempre affascinata l’idea che questa sia la festa dell’amore e non degli innamorati. Ho tanti bei ricordi su come veniva celebrata, soprattutto nel villaggio dei miei nonni (dove i vecchi rituali vengono rispettati ancora oggi).  Era un giorno pieno di magia, di superstizioni e riti affascinanti, che raccontati sembreranno, senza dubbio, solo frutto di una sconfinata immaginazione.

La mattina le fanciulle raccoglievano la neve rimasta, chiamata “neve delle fate” (perché si credeva fosse nata dai sorrisi delle fate), e con l’acqua sciolta dovevano lavarsi il viso, pensando che sarebbe diventato grazioso come quelli delle fate.

Entro il tramonto, le ragazze dovevano incontrare almeno una persona di sesso maschile,  altrimenti non avrebbero avuto la possibilità di incontrare l’amore quell’anno. Se il ragazzo era di un villaggio vicino e lo si riusciva a toccare,  sarebbero rimaste innamorate tutto l’anno.

Ai ragazzi invece non era permesso di essere in alcun modo scortesi con le ragazze,  non dovevano offenderle o creare dispiacere.  Essendo Dragobete il dio dell’allegria,  questo stato d’animo doveva essere mantenuto per tutta la giornata. 

Chi partecipava alla festa era considerato benedetto, protetto dalle malattie e, quell’anno, certamente avrebbe avuto parte di prosperità. Chi invece non partecipava non sarebbe stato amato da nessuno.

horaI giovani del paese, vestiti da festa,  s’incontravano davanti alla chiesa e,  se il tempo era bello, andavano verso il bosco cantando e cercando i primi fiori di primavera. Le ragazze raccoglievano le violette e i bucaneve. I fiori raccolti si mettevano accanto alle icone dei santi fino al giorno delle “Sânziene”,  che si festeggia il 24 giugno,  quando i fiori venivano poi adagiati sulle acque dei fiumi.

A pranzo le fanciulle correvano verso il villaggio e i ragazzi dovevano inseguirle cercando di rubare un bacio. Se alla ragazza piaceva il ragazzo che la stava inseguendo, si lasciava ovviamente prendere e veniva baciata, in pubblico, gesto che rappresentava il legame d’amore per un anno intero ed era visto come un vero fidanzamento. Da qui la frase: Dragobete sărută fetele (Dragobete bacia le ragbacioazze), che è il ritornello di questa giornata. Questo rituale permetteva alla comunità del paese di sapere quali erano i possibili futuri sposi e quali erano invece quelli che dovevano attendere il turno successivo. Inutile dire quanto era amato e atteso questo momento dalle ragazze impazienti ad ottenere tanti baci e promesse di un futuro pieno d’amore.

Nel giorno di Dragobete, gli anziani del villaggio si prendevano molta cura degli animali,  che non dovevano assolutamente essere sacrificati,  perché si trasgrediva così al significato ancestrale di questa festa dell’amore universale, quello che riguarda la scelta della propria metà, per esseri umani e per animali. 

Stamattina mi sono svegliata pensando che sicuramente non sarei riuscita a trovare la “neve delle fate”, che non sarei potuta andare nel bosco a raccogliere i bucaneve o le violette,  che forse non avrei potuto evitare scortesie varie da parte dei “fanciulli” del paese e non avrei mantenuto per tutta la giornata l’allegria, richiesta dal dio Dragobete.  Ma poi sono arrivati due uccellini sul mio balcone a trovare le briciole che lascio tutti i giorni…

Buon Dragobete a tutti!

iubesteromaneste

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L’Atlante geografico della Bellezza… partendo dalla Romania

“La bellezza è ovunque, è nella diversità, è negli occhi di chi guarda e chi guarda è sempre qualcun altro”.

mihaelaMihaela Noroc è una giovane fotografa rumena che ha realizzato un progetto artistico inedito: il primo Atlante Geografico della Bellezza, chiamato Beauty around the World (BAW). Le sue foto, che ritraggono un centinaio di volti femminili, naturali, catturati nella loro essenza,  senza trucco o ritocchi, hanno già fatto il giro del mondo. Sono ritornate, come per magia, negli stessi posti dove l’artista ha catturato la bellezza delle donne, cercando la semplicità, la grazia dei gesti, l’armonia: su 4 continenti, in 37 paesi, tra Ecuador, Peru, Cuba, Romania, Colombia, Canada, Russia, Iran, Stati Uniti, Cile, Singapore, Cina, Ethiopia ecc. Volti diversi, bellezze diverse. In costumi tradizionali e coloratissimi o con un abbigliamento sportivo e casual, queste donne sono soprattutto specchio delle diverse società. “Forse tra 50 anni tutte le donne potranno vestirsi e comportarsi in egual modo, in cuor mio spero che questo atlante sia la testimonianza delle culture e tradizioni di un’epoca”, ha detto la fotografa rumena. Il suo intento era maramures quello di mostrare che la diversità è ricchezza e che nessun costume, stile, colore della pelle o difetto può mai rientrare nel concetto universale e generale di bellezza.

Per un anno e mezzo Mihaela Noroc ha fotografato centinaia di donne molto diverse tra loro, nei quartieri malfamati della Colombia, in una moschea iraniana, nella foresta amazzonica, nei quartieri chic di Oxford, nelle favelas brasiliane, nell’altopiano tibetano, nel più grande tempio buddista di Myanmar,  ma anche per le strade affollate di New York e nei sobborghi di Sydney.

“Siamo belle proprio perché siamo così diverse, posso dire che la bellezza è ovunque. La grazia prescinde dalla perfezione fisica, dalla condizione sociale, dalle tradizioni culturali, dalla taglia dei pantaloni. È solo una questione di armonia interiore”.colore Parola di Mihaela Noroc che non ha voluto ritrarre semplicemente dei volti belli, ma piuttosto realizzare uno studio inedito sulle diversità sociali tramite i volti delle donne. Ognuna di loro racconta la storia delle sue origini, della sua cultura e delle sue tradizioni. Come ad esempio, la giovane ragazza persiana, incontrata in una moschea a Teheran, che ha accettato di essere ripresa, in un iranianapaese dove alle donne è vietato scoprirsi il volto, danzare o cantare. Con la complicità di alcuni iraniani, liberali e molto aperti, Mihaela è riuscita a rubare alla ragazza un vero servizio fotografico e i suoi splendidi occhi azzurri, sono rimasti tra i ricordi più belli di quest’avventura.

Ha scelto di ritrarre volti naturali cercando di catturare “quel momento di sincerità e serenità tipico delle donne”, ed è proprio per questo motivo che ha preferito cercare i suoi soggetti casualmente per strada, nei mercati, nei bar o nelle aule universitarie.

rigaIl progetto artistico Beauty Around the World è parte di un progetto più ampio e complesso, chiamato Călător cu tricolor (Viaggiatore con il tricolore), iniziato nell’agosto del 2013. Mihaela, insieme al marito, Ștefan Marinescu, sceneggiatore Tv, hanno deciso di lasciare il lavoro, di prendere tutti i risparmi e di girare il mondo, con lo zaino in spalla e la macchina fotografica in mano. Si sono ispirati alla storia del globetrotter rumeno, Dan Dumitru, entrato nel Guinness dei primati per aver fatto il giro del mondo a piedi, all’inizio del ventesimo secolo.

La loro avventura potrebbe essere considerata un’originale dichiarazione d’amore verso il proprio paese, visto che dovunque si sono fermati hanno parlato alla gente della loro Romania. Il simbolo della loro spedizione è stato proprio il tricolore rumeno che hanno portato con loro e hanno postato come “tricolike“, vicino ai posti simbolo di ogni paese visitato.tricolor cina

Siamo partiti alla scoperta del mondo perché volevamo sentire la nostalgia del nostro paese, volevamo capire meglio la Romania, conoscendo tante realtà e culture diverse, e alla fine siamo davvero riusciti a conoscerlo meglio”, confessa Ștefan Marinescu. “Quando parli con uno sconosciuto, la prima domanda a cui devi rispondere è Di dove sei? Il posto da dove proveniamo è più importante del nome, della posizione sociale o delle cose che realizziamo. Praticamente, fuori dai confini nazionali, siamo il paese da cui veniamo”, spiega Marinescu.  Secondo lui,  purtroppo, essere rumeni non sempre è motivo di orgoglio. Spesso ci si sente vittima dei pregiudizi altrui, e ancora più spesso della propria insofferenza verso il paese che si ama odiandolo.

tricolor2Călător cu tricolor è un viaggio alla scoperta del mondo, ma anche alla (ri)scoperta del proprio paese. Girando il mondo da rumeni i due giovani hanno capito che ci sono (ancora) mille motivi per amare la Romania. Motivi così semplici, così diversi quanto diversi sono i volti delle donne ritratte nel primo Atlante geografico della Bellezza, realizzato da Mihaela Noroc. Il suo progetto ha fatto parlare molto della Romania e le sue foto sono state pubblicate sulle prime pagine delle riviste più prestigiose di tutto il mondo.  Călător cu tricolor ha compiuto in bellezza la sua missione. 




La bella Romania, così vicina, così lontana

Stranamente non ho amici che sono andati in vacanza in Romania.  Non so se non sono stata io abbastanza convincente o semplicemente se sono loro troppo scettici verso quella parte d’Europa, così vicina dal punto di vista geografico, linguistico e culturale e nello stesso tempo ancora così lontana e sconosciuta o sarebbe meglio dire forse mal-conosciuta.  Un paese che si trova a meno di due ore di distanza di volo, ma che, nell’immaginario collettivo, resta lontana quanto un paese esotico, tropicale, mentalmente “irraggiungibile”, vittima spesso di giudizi affrettati che nel tempo di sono trasformati in pregiudizi.

La Romania non è tra le mete turistiche preferite in Europa, ma anche se non può vantare un grande numero di turisti stranieri (l’anno scorso, hanno scelto questa meta meno di 2 milioni), l’ente nazionale per il turismo è ottimista:  nel 2014, il numero dei visitatori è cresciuto dell’11%.  L’Italia è nella classifica preceduta dalla Germania e la Francia, e seguita dall’Ungheria, l’Inghilterra, il Canada e gli Stati Uniti.

Il treno MocanitaLa Romania è un po’ il paese dei paradossi:  è una terra latina in un’isola di slavi e ugrofinnici (ungheresi),  un paese prevalentemente ortodosso, dal nome che conserva tutt’ora la radice di Roma. Si trova  alle “porte dell’Oriente“, in uno dei grandi crocevia storici d’Europa, ma vuole essere considerata occidentale a tutti i costi. La motivazione si trova nella storia dei suoi ultimi cinquant’anni, con un popolo martoriato dal lunghissimo regime comunista dittatoriale, che ha visto l’occidente come il sogno di libertà, vissuto in silenzio, in clandestinità e terrore.

Sebbene la sua superficie non superi i 240.000 km quadri, la Romania ha un territorio che non si fa mancare nulla: monti, mare, delta fluviali, laghi, colline, vallate e ruscelli serpeggianti, grotte, gole, cascate… Qua di solito, nei discorsi seri o semi-seri  tra rumeni,  scatta la rivalità storica con la vicina Ungheria che “non ha mare, montagne e nemmeno il Delta”, ma incassa cinque volte più della Romania per quanto concerne il turismo. Penso che interessi poco sapere di chi sono le colpe di queste carenza turistiche: delle infrastrutture mancanti, del personale specializzato che scarseggia (che ha preferito emigrare e lavorare in altri paesi europei) o dei governi che non hanno adottato facilità economiche e fiscali per le imprese turistiche.

Fortunatamente l’UNESCO ha fatto una valutazione delle bellezze artistiche e naturali della nazione, senza tener conto degli aspetti economici e spesso troppo pragmatici. E di bellezza, l’Unesco se ne intende(!), includendo ben 31 siti rumeni nel suo patrimonio. Ognuno di loro può essere una possibile meta dei vostri prossimi viaggi.

SighisoaraCominciamo da…Dracula. Eh, si, anche se la Romania non è solo Dracula e castelli tenebrosi, potrebbe essere un avvincente punto di partenza.

La Cittadella Medievale di Sighișoara, in Transilvania, è il luogo dov’è nato il principe Vlad, ma la sua bellezza supera anche il fascino della storia sanguinosa del conte. In realtà, la casa natia, nel 1431, non è l’unico motivo per visitare la città. Il centro medievale di questa cittadina della Regione Sassone, nel cuore del paese, fa parte dei siti di interesse storico-culturale inseriti dall’UNESCO nel Patrimonio dell’Umanità, nel 1999. Arroccata su una collinetta e fortificata da mura del XIV secolo, la cittadella è un vero spettacolo, con la sua atmosfera sognante, gotica, antica e fiabesca.
Scala di legno SighisoaraCi sono tutti gli ingredienti per un’ambientazione misteriosa: mura di cinta, case antiche con interni preservati, torre gotica medievale (la Torre dell’Orologio), portici e chiese gotiche, strade acciottolate, la lunga scala antica (del 1600),  coperta da legno,  che raggiunge una collina sovrastante dove c’è una chiesa e un cimitero antico.

Se cercate le tracce di Dracula in questa cittadella medievale, troverete però solo la casa dov’è nato, trasformata in un apprezzato ristorante, chiamato ovviamente la Casa Dracula, e la sua statua, dietro la Chiesa del Monastero DomenicanoLa chiesa di Biertan

Basta percorrere meno di 30 km per incontrare un’altra meta UNESCO qui in Transilvania: la magnifica Chiesa quattrocentesca di Biertan, sede del vescovo luterano dal 1572 al 1867. Gli esperti Unesco sono stati conquistati dal suo altare in stile viennese e dalla straordinaria porta della sagrestia (dove venivano custoditi i tesori della chiesa),  dotata di una serratura composta da ben 19 meccanismi. Una meraviglia dell’ingegneria premiata all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.

Rimaniano in Transilvania, anche se posso sembrare di parte, visto che sono nata anche io lì,  ma la verità è che questa regione è un concentrato di tesori. A circa 40 km da Sighișoara si incontra il villaggio di Viscri, uno dei villaggi sassoni più interessanti della Romania, che ha affascinato anche il principe Carlo d’Inghilterra. Il principe ha comprato qui una casa contadina, che ha ristrutturato mantenendo intatta Il principe Carlo a Viscril’architettura del XII secolo. La gente del posto è abituata ormai a vederlo camminare per i boschi, fermarsi a parlare o salire, insieme ai contadini, sulle carrozze trainate da cavalli. Viscri è uno dei suoi rifugi più intimi e discreti. Su una piccola collina, nascosta a prima vista da un bosco,  si trova la chiesa fortificata che risale al XIII secolo. Durante l’invasione tartara era un luogo sicuro dove gli abitanti si nascondevano.  Le sue mura di cinta sono le più antiche e meglio conservate della Transilvania.Fortezza di Viscri Viscri potrebbe entrare nel Guinness dei primati per un particolare interessante: i turisti sono 30 volte più numerosi degli abitanti. 15.000 turisti stranieri all’anno, in un paesino che ha meno di 500 abitanti.

Lasciamo la Transilvania e dopo un viaggio di poche ore, entriamo in Maramureș, una delle ultime regioni d’Europa dove la vita di campagna segue ancora i ritmi del Medioevo. In questa regione settentrionale, confinante con l’Ucraina e l’Ungheria, il tempo sembra essersi fermato a cento anni fa.  I paesaggi rurali sono incontaminati ed affascinanti: c’è il contadino che lavora ancora la terra con le mani e l’aratro trainato da buoi o cavalli,  il falegname che costruisce case e chiese con strumenti arcaici, il treno che va ancora a vapore,  come la Mocănița , che trasporta ancora i boscaioli. I pecorai  praticano ancora la transumanza.  Ci sono ancora leChiesa di Ieud, Maramures case di legno dove la gente vive, chiese immense costruite in legno con incastri e cunei, senza usare metallo.

Sono state proprio le chiese di legno di Bârsana, Șurdești, Desești, Budești e Ieud,  ad essere incluse, nel 1999, nella lista UNESCO. Le più vecchie risalgono al 1300 e le più alte al mondo si trovano a Săpânța e Bârsana.

Il motivo che portò allo sviluppo di questa tradizione delle chiese in legno fu il divieto imposto dalla corona d’Ungheria (quando la regione apparteneva al Regno d’Ungheria) di costruire edifici sacri ortodossi in pietra in quei territori. Vennero perciò usati come materiali da costruzione il legno di quercia, di abete, di olmo e di faggio. Elementi caratteristici di queste costruzioni sono le strette navate, i tetti coperti di scandole (antiche tegole in legno) e gli interni decorati con dipinti eseguiti sul legno che rappresentano per lo più scene tratte dall’Antico Testamento.

Non possiamo lasciare la regione di Maramureș senza visitare il cimitero più allegro del Chiese in legno Maramuresmondo, in realtà, l’unico. Il Cimitero Allegro di Sapânța è stato incluso nel patrimonio Unesco nel 1999. Una passeggiata tra le lapidi dipinte in colori sgargianti,  tra cui domina l’azzurro intenso, con le loro immagini naif che accompagnano gli epitaffi umoristici, vi aiuterà a capire che vuol dire, letteralmente, ridere in faccia alla morte.

Il Cimitero Allegro è, senza dubbio, una delle ragioni per le quali la zona di Maramureș è stata inclusa dalla National Geographic Traveller tra le prime 20 destinazioni turistiche del mondo da visitare nel 2015. Gli specialisti della celebre pubblicazione americana definiscono il viaggio in Maramureș un „must” per vivere un’esperienza unica in Europa.

cimitero allegro SapantaFinisce qui la prima parte del nostro viaggio virtuale tra i siti Unesco della Romania, inclusi nel patrimonio dell’umanità. Ma questo paese ha ancora tanti posti sorprendenti che aspettano di essere scoperti.




Figli di un decreto minore

E’ difficile da accettare, ma, probabilmente, sono venuta al mondo per… decreto! Sembra assurdo, ma in Romania un tempo si nasceva non solo per amore o per caso, ma anche per il decreto 770!

Alla fine del 1966, il regime comunista di Nicolae Ceaușescu decise di vietare gli aborti e la contraccezione, non certo per motivi religiosi o umanitari -impensabili in un regime totalitario- ma con l’unico nazionalistico scopo di incrementare la popolazione.

Nella pratica, fu solo un crudele e cinico esperimento sociale, disumano, che durò ben 23 anni!

Da un lato si mettevano al bando preservativi e altri metodi contraccettivi, venduti solo al mercato nero a prezzi proibitivi per la maggior parte dei romeni (i preservativi portati dalla vicina Ungheria, liberale e libertina, erano i più contesi); dall’altro vigeva il divieto assoluto di aborto. L’educazione sessuale era inesistente e i libri sulla riproduzione e la contraccezione erano considerati “segreti di Stato“, fruibili solo nell’ambito della formazione medica.

decreteiPiù in dettaglio fu vietato l’aborto a tutte le donne al di sotto dei 40 anni (il limite di età fu esteso ai 45 anni, nel 1972), alle donne che avevano meno di 4 figli (limite portato a 5 nel 1972), a quelle la cui gravidanza non era causa di pericolo di vita, a donne la cui gravidanza non era provocata da incesto o stupro.

I trasgressori del decreto venivano puniti con la prigione.

il più grande boom demografico di tutti i tempi

Il risultato di tutto ciò fu il più grande boom demografico romeno di tutti i tempi, tra il 1967 e il 1968, con un incremento percentuale di nascite superiore al 100%.
Con il decreto 770 vennero al mondo ol4 settimane 3 mesi 2 giornitre 2 milioni di bambini, un vero e proprio esercito di figli del partito e non sempre dell’amore, per i quali lo stato ha dovuto costruire in fretta asili, scuole, ospedali, ma anche orfanotrofi. Gli effetti collaterali di questa politica della pazzia furono infatti gli oltre 170.000 bambini abbandonati, un’enorme eredità di Ceaușescu, fonte di un vero e proprio caso umanitario mondiale con cui la Romania continuò a dover fare i conti per molti anni dopo la sua morte (vi ricordate lo sdegno provocato dalle colonie di bambini che vivevano nella fogne di Bucarest negli anni ’90? Le associazioni umanitarie, anche italiane, che tentavano di salvarli? Le adozioni internazionali legali e paralegali dei bambini romeni?).

Il loro numero sarebbe stato molto più grande se non ci fossero stati ben 4 milioni di aborti clandestini. Come è facile immaginare, in una Romania comunista dove le donne lavoravano quanto gli uomini, i sindacati erano inesistenti, la povertà era spesso la normalità, l’aborto di donne che non potevano permettersi un figlio era all’ordine del giorno.
Ma è bene conoscere le regole di questo gioco al massacro. Se una donna si recava in ospedale per cercare aiuto dopo le complicanze di un aborto illegale, NON veniva curata fino a quando non avesse denunciato la persona che aveva eseguito il raschiamento. Spesso questo significava denunciare un’amica, una sorella, una madre.
Per paura di questa sadica situazione, la scelta tra la propria vita e quella di un altro, molte donne non chiedevano assistenza medica, almeno fino a che non era strettamente necessario, e, spesso, lo strettamente necessario significava la propria morte! Si stima che più di 11 mila donne morirono per le conseguenze degli aborti illegali.

orfaniSi pensi che il loro numero supera quello delle vittime delle persecuzioni politiche degli anni della dittatura, ma di queste donne, dopo il 1989, si è parlato poco, pochissimo, non solo perché queste morti bianche non hanno mai avuto un registro e un conteggio preciso, ma anche e soprattutto perché ogni famiglia, ogni donna che ha vissuto sulla propria pelle gli effetti di questo decreto ha fatto in modo di rimuoverne il ricordo. Una spietata e rara testimonianza è il film “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” del regista rumeno Cristian Mungiu, Palma d’oro a Cannes nel 2007.

la polizia mestruale

femei la doctorNessuna donna vuole ricordare le file davanti agli studi ginecologici, quando le donne, sotto i 40 anni, venivano prelevate dal loro posto di lavoro ogni mese e sottoposte a esami medici obbligatori per determinare prima possibile se erano in stato di gravidanza.
A nessuna fa piacere ricordare che la loro fertilità era continuamente monitorata dai fin troppo zelanti funzionari statali che, oltre agli esami medici, conducevano dei veri e propri interrogatori sul perché non procreavano abbastanza. Questi esami ginecologici venivano spesso effettuati in presenza della cosiddetta “polizia mestruale” (ebbene si, abbiamo avuto anche quella!), come la soprannominavano i rumeni, che sottoponevano le donne ad una periodica violenza istituzionalizzata.
Nessuna vuole ricordare l’abbandono di un figlio, la denuncia di un parente, la morte di un’amica, sul tavolo della cucina, dopo un aborto fallito…

i tempi dell’Amore senza sesso

Nemmeno io vorrei poter ricordare quel giorno di autunno del 1985, in terza liceo, quando insieme a tutte le ragazze delle 10 sezioni della mia scuola, fui portata alla mia prima visita ginecologica obbligatoria, in seguito al tentativo di aborto di un’amica, arrivata in ospedale in fin di vita. Eravamo in fila in un silenzio surreale, abbandonate ai nostri pensieri confusi, riflettendo sulle conseguenze dell’amore.

Stavamo per diventare donne in un mondo in cui nessuno ci aveva detto dove collocare questo Amore, tra la paura, il dubbio, il divieto, il vincolo in cui era imprigionato il sesso.

Un mondo in cui fare l’amore era stato cancellato dal lessico comune. Infatti, noi, quelli nati nei primi anni dopo il decreto, non siamo stati mai chiamati figli dell’amore ma, ironicamente, decreței, ossia figli del decreto. Mia sorella, nata per amore nel 1964, non perdeva occasione, durante i nostri litigi infantili, di ricordarmi che io ero una di quelle.

Quando giocavamo giù al parco, noi, i figli del decreto, eravamo spesso i più arrabbiati verso il mondo e verso i nostri fratelli più grandi e desiderati.
Noi eravamo i figli con la chiave al collo… no non è una metafora, avevamo davvero la chiave di casa appesa al collo quando uscivamo per andare a scuola. Soli all’andata, soli al ritorno. Nati già grandi per necessità familiare e di partito, autonomi, responsabili, disciplinati, perseveranti, combattivi.

2 milioni di bambini di troppo!

bambina con la chiave al colloGli stessi che poi a vent’anni facemmo la rivoluzione del 1989, che portò alla caduta del regime comunista. La nostra vendetta contro il governo che ci aveva decretati!

Qualche tempo fa ho letto uno studio, sul Sole 24 Ore, in cui la psicologa Margherita Carotenuto sosteneva che “la violenza genetica dei decreței è la causa principale dei reati compiuti dai romeni in Italia.”  Secondo lei, è impossibile cancellare l’infanzia!

Non so se il decreto 770 abbia davvero portato al mondo una generazione di figli indesiderati,  non so se molti di loro, da grandi, siano diventati violenti,  frustrati e infelici. So però che il pensiero di non essere (solo) figli dell’amore, di essere nati per dovere patriottico, di essere diventati, inconsapevolmente,  i protagonisti di una pagina importante della storia del nostro paese, il pensiero che forse non siamo stati dei bambini desiderati, ma piuttosto obbligati o meglio, obbligatori… credetemi, questo ci ha tanto tormentati e spesso ci tormenta ancora.

Post Scriptum
Mia madre quando ha saputo che stavo scrivendo questo articolo mi ha ulteriormente rassicurata sul fatto che sono assolutamente figlia dell’Amore!!!