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Badanti, escort e trafficanti… i rumeni nei film italiani

Papa’ sei l’unico italiano che è riuscito a farsi lasciare da una rumena! Una semplice battuta di un film recente (ndr Piuma) ha scatenato in mio figlio dodicenne tante domande alle quali non ero preparata. Che c’entrano le rumene? Non ho capito, una rumena non può lasciare? Non ti sembra razzista? Non puoi ammettere davanti a lui che il senso, se non razzista, è quantomeno offensivo, con quell’intonazione che accentua il valore peggiorativo della frase. Tutti i principi educativi con i quali hai cresciuto tuo figlio nato in Italia,  da un papà italiano e una mamma rumena, nel segno della diversità che arricchisce una società e del multiculturalismo che spalanca le menti non possono crollare miseramente dapiumavanti alla battuta di un film!

Ma poi te ne vengono in mente tante altre, che ti hanno infastidito lasciandoti perplessa, e inizi a chiederti se i pregiudizi e i luoghi comuni sui rumeni, che hanno riempito per anni le pagine dei giornali, non si siano semplicemente trasferiti nel cinema,  cambiando appena linguaggio o registro e non la sostanza? Avete notato che i rumeni e le rumene non non sono più protagonisti della cronaca nera come una volta? Ciononostante mantengono le connotazioni negative restando bersaglio di battute poco lusinghiere nel cinema di oggi.

Perramazzottiché in un film come Il nome del figlio, di Francesca Archibugi, con uno sceneggiatore come Francesco Piccolo, che ha firmato tante belle sceneggiature per Nanni Moretti o Paolo Virzì, ti imbatti in una frase come quella di Simona (interpretata da Micaela Ramazzotti): ” Oh Dio, come mi sono truccata, con questo verde, come una rumena!”?
A volte metto anche io un filo di verde, anche perché ho i capelli rossi e pare che non ci stia male… ma dopo aver visto il film ci penso due volte prima di truccarmi. Non vorrei sembrare una…”rumena”!

Sembrare una rumena... Ho sentito spesso qualcuno dire che non sembravo una rumena, con la convinzione di avermi fatto un complimento. Una volta mi hanno chiesto come mai avevo la pelle chiara se ero rumena? Rom, rumeni, Romania… c’è ancora una grande confusione su questi termini troppo simili,  ma che indicano realtà storiche ed etniche così diverse e così lontane.  Ne ho sentite tante di battute sui rumeni e sulle rumene che potrei scrivere la sceneggiatura di un intero film!  Maledetti luoghi comuni in cui cadiamo tutti noi, frettolosi nel giudicare e così indifferenti nel pregiudicare un’intera comunità.

Le donne rumene nei film italiani, ad esempio, meritano un po’ di attenzione. Quasi sempre badanti o prostitute-escort e molto spesso dotate di una marcia in più sul piano amoroso.amici

Nel film Amici come noi, di Enrico Lando, con la coppia comica Pio e Amedeo, c’è una giovane badante rumena che accompagna la sua “vecchia” a scegliere la bara e cede al fascino “internazionale” di Amedeo. Conquistato dalla rumena, Amedeo spiega all’amico che, nell’amore,  “non c’è niente da fare, le rumene sono un passo avanti”.

Anche Dorina, il personaggio del film di Carlo Vanzina, La vita è una cosa meravigliosa, una ragazza rumena fidanzata con un poliziotto (interpretato da Enrico Brignano). brignanoMentre questo fa delle intercettazioni telefoniche per un’indagine scopre che la sua donna è in realtà una escort di lusso. Uscita allo scoperto, lei si giustifica dicendo che deve mandare soldi in Romania perché vuole aprire una pompa di benzina. Qui viene sfruttato anche l’inevitabile doppio senso sessuale, creato intorno alla parola pompa.

E’ sempre rumena la badante Niculina, nome d’arte Bogdana, nel film Pazze di me, del 2012, di Fausto Brizzi. Distratta, comoda, superficiale e grande amante del caffè italiano, ha un’unica preoccupazione, che “la vecchia” morirà e lei perderà il lavoro.

In una delle scene iniziali del film di Carlo cortellesiVerdone, Sotto una buona stella, Paola Cortellesi interpreta una finta operaia rumena che fa lavori di ristrutturazione in casa ad orari improbabili, confondendo il fuso l’orario di Roma con quello di Bucarest. Nello stesso film, la stessa Cortellesi interpreta in un’altra scena la finta badante rumena di Verdone.

Nel film di Giuseppe Piccioni, Il rosso e il blu, con Riccardo Scamarcio e Margherosso-e-blurita Buy, sugli adolescenti e le loro problematiche, c’è Adam, figlio di rumeni, un ragazzo molto ambizioso, studioso, serio e con genitori che cercano in lui una specie di riscatto morale.  Troppo atipico forse! Così lo sceneggiatore decide di far piombare il bravo scolaro nuovamente nello stereotipo, rendendolo protagonista di una scena di delinquenza, in cui non esita a rubare una pistola e a tentare una rapina, per amore di una ragazza ribelle e spericolata che lo porta sulla cattiva strada.

Razza bastarda è un film di Alessandro Gassman, nel quale egli stesso interpreta Roman, uno spacciatore rumeno, che vive alla periferia della società,  ma prova ad assicurare un futuro diverso a suo figlio, Nicu. La trama gira intorno al rapporto esplosivo tra padre e figlio, i personaggi, spesso trafficanti, razza-bastardacriminali e prostitute, tutti rumeni,  parlano un misto di rumeno, romano e romanes, l’atmosfera è cupa, dominata da aggressività estrema, degrado morale e violenza. “Ho deciso di raccontare storie di persone che sbagliano, molto, moltissimo, potevo anche farli sbagliare meno ma non era quello che m’interessava, volevo che fosse un film duro, come i luoghi che ho raccontato”, dice Gassman. Che i suoi personaggi “sbagliati” siano rumeni e non albanesi, polacchi o francesi,  è solo un puro caso.

Come sarà un caso anche il fatto di non ritrovare mai in un film italiano di oggi qualche rumeno medico, ricercatore, insegnante, o musicista. Sui musicisti mi correggo, qualche virtuoso artista rom/rumeno che si esibisce per le strade c’è sempre!

rom-musicisti

 




Noi che sognavamo Nino d’Angelo

Negli anni ottanta ero un’adolescente nella Romania comunista di Ceaușescu, andavo al liceo e vestivo una divisa nera, con una matricola cucita sul petto, i capelli lunghi e ribelli raccolti in due treccine strette e “domati” da un frontino di raso bianco.
Non avevo l’imbarazzo della scelta su come vestirmi o pettinarmi, la linea guida del partito ci imponeva tutto in maniera “democraticamente” obbligatoria.
Ricordo che una volta a settuniforme comunismimana il corpo docente ci riuniva nel cortile della scuola redarguendo pubblicamente  i “ribelli”, quelli che non avevano la matricola o che erano senza frontino!

Più il nostro corpo veniva costretto in queste divise sciatte e uniformi (in effetti si chiamavano proprio uniformă), più la nostra mente vagava in spazi sconfinati nutrendosi di sogni proibiti.
Niente di trascendentale, sognavamo un paio di jeans, di bere una coca-cola, di leggere Paris Match e di incontrare…Nino D’Angelo! Ebbene si, anche lui ha avuto un ruolo importante nel processo di democratizzazione della Romania comunista!

Un giorno mia sorella tornò a casa piangendo, aveva appena litigato con il suo fidanzato, si buttò sul letto in preda alla disperazione e, guardando il poster che avevamo appeso nella stanzetta, disse tra i singhiozzi: “Per uno come questo vale la pena soffrire, non per uno come Mihai!!!nino d'angelo

Faccio fatica a crederci oggi, ma il ragazzo che la osservava nel poster con un caschetto biondo, gli occhi azzurri e il viso da bravo ragazzo, era proprio Nino D’Angelo.

Davanti allo sguardo innocente di Nino, mia sorella rivalutava i suoi gusti in materia di ragazzi. Non sapeva nemmeno chi era questo Nino D’Angelo (il poster era uscito da un giornaletto che un amico di mio padre ci portò dalla Germania dell’Est), ma la sua presenza nella stanza fu destinata a durare per parecchi anni a venire, rincuorandoci e rassicurandoci costantemente ad ogni nuova delusione amorosa.

nino d'angelo 2E’ inutile dirvi che oggi la reazione dei miei amici napoletani, quando racconto l’episodio, oscilla tra compassione, incredulità e ilarità e non li posso nemmeno biasimare. Ma all’epoca era un sogno proibito, la trasgressione esterofila anticomunista!
Non è un caso che Nino D’Angelo abbia stabilito, proprio in  Romania, un invidiabile record restando in vetta alle classifiche per settimane nel 2004 con la canzone Senza giacca e cravatta. Niente di strano se non fosse che la dittatura era terminata nel 1989 e che la canzone in questione era stata pubblicata nel 2000, ben 4 anni prima del suo successo! Il motivo fu un semplice concerto di Nino D’Angelo a Bucarest nel 2004 che improvvisamente risvegliò i ricordi e i languori di migliaia di donne cresciute con la sua foto sulla testata del letto.

Ma negli anni ’80 qualcosa stava per cambiare per sempre: scoprimmo Toto Cutugno! Fu la grande svolta,  più della nostra educazione sentimentale che di quella musicale!
Tutto cominciò quando il regime comunista decise a sorpresa, nel 1983, di trasmettere in TV la serata finale del Festival di Sanremo. La cosa durò solo per un paio di anni, ma fu abbastanza per farci sognare.

san remoIl paese era tutto davanti alla tv a guardare uno spettacolo che sembrava arrivare da un altro pianeta: fiori, luci, abiti eleganti, lusso, musica romantica e uomini bellissimi (vi ricordo che le poche trasmissioni che ci passava la tv di Stato erano poco più che politiche e quasi sempre autocelebrative del regime).
Lo so che è difficile da capire ma, dovete credermi, per noi l’Italia rappresentava il vero sogno di Libertà, più o meno come la vostra “America” del dopoguerra senza velleità lavorative, con l’aggravante che per noi era proibito andarci.

Quando uscì, la canzone “L’italiano” diventò il nostro secondo inno nazionale e Toto Cutugno fu per noi l'”Italiano vero”(!). Era l’uomo più bello del mondo, con la sua chioma nera e i suoi occhi teneri, il prototipo del maschio italiano, tenebroso e romantico.Toto_Cutugno

Se l’Italia è diventata il nostro sogno proibito, la “colpa” è principalmente sua e della musica italiana: i Ricchi e Poveri, Al Bano e Romina, Riccardo Fogli, Umberto Tozzi...  Questa musica era la nostra finestra verso la libertà, verso l’occidente proibito, e negli anni più bui del comunismo, era una specie di benedetto “salvagente” dell’anima. Non a caso tutti questi artisti hanno rilanciato la loro carriera musicale proprio in Romania e in Russia, dove riempiono ancora i palazzetti.

Per il regime comunista, la musica straniera era un simbolo di decadenza morale, rappresentava il capitalismo “marcio e pericoloso”, ma, non si sa per quale ragione, in radio andavano molto i cantanti italiani, qualche francese, i tedeschi della Germania dell’Est e Julio Iglesias.
Era assolutamente vietata la musica americana!
Qualcuno sostiene che il nostro dittatore Ceaușescu e la moglie gradivano la musica italiana perché pulita, solare, positiva, “innocua”, insomma, non era il rock o l’ heavy metal americano che trasmetteva sentimenti “sovversivi” e la voglia di rivoluzione.
Le canzoni italiane parlavano d’amore, non quello carnale (in Romania parlare di sesso era tabù), dei bei sentimenti,  degli “sguardi innocenti”,  del “restare vicini come bambini”, dei “raggi di sole”, del “sorriso che sa di felicità”.
Non capivamo bene l’italiano e probabilmente neanche la censura dell’epoca capiva che, tra tutti questi “sguardi innocenti”, si parlava anche di amore fisico, anche se non esplicito.
al bano rominaAl Bano e Romina erano tra i preferiti della coppia presidenziale, erano belli, puri, avevano molti figli, erano sì dei capitalisti ma di quelli buoni e semplici, con valori familiari solidi.
Romina in particolare divenne un po’ la nostra Violetta, giusto per darvi un’idea di quanto importante fosse per noi. Ci vestivamo come lei, con delle camicette bianche senza spalline, ci pettinavamo come lei, ballavamo come lei, con quel movimento ondeggiante delle spalle, cantavamo come lei… (forse anche meglio!).

Sono trascorsi trent’anni e io, tra l’ilarità generale di chi mi sta vicino, ancora mi emoziono quando rivedo le riappacificazioni russe di Al Bano e Romina, i Ricchi e Poveri che si dividono, Toto Cutugno che canta un “Italiano” un po’ acciaccato dall’età.
Non me ne vergogno, li considero una sorta di imprinting post-comunista!

Nino D’Angelo però resta un mistero! Non capivo allora il suo napoletano e non lo capisco ora. Il caschetto rivisto con gli occhi di oggi mi sembra piuttosto imbarazzante, anni luce lontano dalla bellezza di Toto Cutugno… eppure, quando ripenso a quel poster nella mia stanza, un brivido mi percorre impudicamente la schiena!al bano bucarest

 

 




Le grandi donne della Romania

Nel 1970, una delle mogli dello sceicco Zaed-Bin dell’Abu-Dhabi necessitava di un delicato intervento chirurgico alla colonna vertebrale. Trattandosi di una donna araba, la religione musulmana non permetteva che l’operazione fosse eseguita da un uomo. Così lo sceicco si dette da fare per cercare un neuorchirurgo donnasofia ionescu che la potesse operare. Non fu facile, lo sarebbe anche oggi in verità, ma una lunga ricerca lo portò in Romania, dalla dott.ssa Sofia Ionescu che operava fin dal 1944, quando eseguì il primo intervento al cervello su un bambino vittima di un bombardamento durante l’occupazione tedesca di Bucarest. Quell’intervento fu riconosciuto dal Congresso Mondiale delle donne neurochirurgo, nel 2005, come il primo di questo genere realizzato al mondo, e alla rumena Sofia Ionescu fu conferito il titolo di prima donna neurochirurgo.

Anche la prima ingegnera in Europa (alcuni sostengono che lo sia anche del mondo) fu una rumena, Elisa Leonida Zamfirescu. Respinta, per pregiudizio, elisa leonida dalla School of Bridges and Roads di Bucarest entrò alla Royal Technical Academy di Berlinolaurendosi nel 1912. Dopo aver rifiutato un contratto di lavoro offertole da una grande azienda tedesca, tornò in Romania dove, da lì a poco, si trovò a fare i conti con lo scoppio della prima guerra mondiale. Elisa Leonida decise di arruolarsi nella Croce Rossa e andò al fronte dove guidò in prima persona alcuni ospedali di guerra.

Il coraggio e la determinazione non mancarono nemmeno ad un’altra rumena, Sarmiza Bilcescu Alimănișteanu,  la prima donna in Europa laureata in giurisprudenza, a soli 23 anni,  presso l’Università della Sorbona,  e la prima donna al mondo che conseguì un dottorato in diritto, nel 1890.  La sua tesi dal titolo “Sulla natura giuridica della madre“, evidenziava tutte le contraddizioni e la mancanza di diritti delle donne, in particolare, delle madri. Sarmiza non praticò mai l’avvocatura, scegliendo di dedicarsi alla causa femminista e dando vita ad un’associazione che lottava per il diritto all’educazione delle donne e per la parità tra i sessi, un’antesignana esponente del femminismo europeo!

smaranda braescu2Per la stessa parità di diritti si batté anche Smaranda Brăescu che sognava addirittura di pilotare aerei in un’epoca in cui alle donne era concesso ben poco! Laureata all’Accademia delle Belle Arti di Bucarest, nel 1926 chiese di seguire il corso di pilotaggio all’unica scuola specializzata appartenente all’esercito. Fu rifiutata non per demerito ma perché donna. Nel 1927, un fabbricante tedesco le consigliò di comprare un paracadute, di recarsi a Berlino e di ottenere così il brevetto di paracadutismo.  Smaranda prese in prestito 40.000 lei, andò a Berlino, e, dopo aver finito il corso,  ottenne il brevetto. La Romania diventò così il terzo paese del mondo ad avere una donna paracadutista, dopo gli Stati Uniti e la Francia. Dopo aver battuto il record mondiale femminile di salto col paracadute, nel 1931, provò ad ottenere il record assoluto, detenuto al momento da un americano. Nel maggio del 1932, a New York, fece un salto storico, da 7400 metri,  che durò 25 minuti e le garantì un record mondiale imbattuto per ben 20 anni.

sarmizaNegli anni ’50, un’altra donna di nome Ana dovette dimostrare alla Romania comunista e al mondo che le competenze e il talento non hanno sesso! Nel 1952, crea il primo Istituto di Geriatria del mondo trasformando la Romania nella meta di un singolare pellegrinaggio per tutti coloro che sognavano di fermare il tempo, convinti di aver trovato un elisir della giovinezza, chiamato Gerovital,  considerato il primo medicinale anti-invecchiamento della storia moderna.
Molti personaggi noti furono affascinati dall’idea, così innovativa all’epoca, di prevenire l’invecchiamento, diventando pazienti (e testimonial) di lusso dell’Istituto Internazionale di Geriatria di Bucarest. Tra questi Salvador Dalì, Charlie Chaplin, Kirk Douglas, Pablo Neruda, Aristotele Onassis, Jacqueline Kennedy, Indira Gandhi, Marlene Dietrich, Charles de Gaulle,  il generale Tito, per citare solo alcuni dei milioni di pazienti di tutto il mondo che si sottoposero alle cure della dottoressa Aslan e del suo istituto.

Ho lasciato alla fine due donne di sangue blu, una principessa e una regina,  rimaste indelebilmente nella storia per il loro fascino, per la loro immensa cultura e per le loro imprese, alcune sorprendenti e improbabili.

lapide firenzeLa principessa Elena Ghica fu la prima donna a scalare il Monte Bianco, nel 1860. Oltre a questo, fu considerata “una delle menti più lucide e più intelligenti d’Europa” del XIX secolo (parlava 9 lingue!), una scrittrice di vasta cultura e una femminista impegnata. Conosciuta con il suo pseudonimo letterario, Dora d’Istria, ispirato al nome del fiume Dora Baltea, trascorse la sua giovinezza tra Vienna, Venezia, Dresda e Berlino e visse un grande periodo di peregrinazioni, di viaggi, di studi,  indirizzandosi verso interessi vari: dalla storia alla filosofia, a studi e discettazioni su questioni religiose, politiche, economiche, letterarie senza trascurare l’approfondimento delle tradizioni popolari. Riuscì a conoscere a fondo l’universo femminile attraverso i suoi innumerevoli viaggi e lo “fotografò” in tutti i suoi particolari nei suoidora d'istria numerosi scritti che pubblicò nelle più prestigiose riviste dell’epoca.

Dora d’Istria visse a Firenze dal 1860 sino al 1888, a contatto con il fervido ambiente intellettuale e politico del periodo post unitario italiano. Giuseppe Garibaldi la definì un “Eroe – sorella , un’anima volta a più alti ideali”. Alla sua morte lasciò la sua villa all’istituto per i sordomuti fiorentino.

Una storia piuttosto singolare è quella della regina Maria di Romania (principessa di Edinburgh), tanto amata e rispettata dal popolo quanto contrastata dalla famiglia reale per la sua vita privata piuttosto disinvolta. Fu l’unica donna a partecipare alla firma del Trattato di Versailles, dopo la fine della prima guerra mondiale. Il suo arrivo a Parigi, al posto del marito, il Re Ferdinando, rafforzregina mariaò il suo appellativo di Regina Soldatessa (attribuitole per la sua presenza attiva sul fronte durante la guerra). Donna di una bellezza unica, al suo arrivo in Francia conquistò le prima pagine dei giornali sensibilizzando indirettamente molti stati europei a tener conto del tributo che la Romania,  più di ogni altro stato,  aveva dovuto concedere alla Grande Guerra (ricordo che la Romania perse quasi metà del suo territorio dopo la prima guerra mondiale). La regina Maria ebbe un ruolo decisivo nell’unificazione della Romania e nel ricongiungimento di parte dei territori persi.

Maria ha lasciato ai rumeni anche una peculiare storia di…cuore. No, non si tratta di una storia d’amore, ma di una vicenda reale che ha il sapore del leggendario. Nel suo testamento chiese che dopo la morte il suo cuore le venisse estirpato, posto in uno scrigno d’argento e portato in un luogo a cui si sentiva particolarmente legata, Balcic, sul Mar Nero. E così fu.  La regina Maria morì nel luglio del 1938, al Castello Peleș, e fu seppellita nel Monastero di Argeș, così come tutti i reali rumeni.  Da quel momento,  il suo cuore iniziò un lungo pellegrinaggio, durato più di 70 anni,  a causa di eventi storici tormentati e impietosi. Nel 1940, dopo che la città di Balcic venne restituita alla Bulgaria, il cuore fu spostato al Castello di Bran, poi al Museo di Storia Nazionale di Bucarest e finalmente, nel 2015, fu trasportato, nel Castello di Peleș,  nel cuore dei Monti Carpați, dapeles foreste dove era partito sette decenni prima.

Ogni anno,  a luglio, il mese in cui è morta, si registra quello che gli amanti dell’esoterismo chiamano il lutto viola: nell’aria si spande un profumo intenso di violette (il fiore preferito delle regina), ma solo nelle sue stanze. Il profumo compare e scompare inspiegabilmente, avvolgente, un fenomeno che incuriosisce ancora oggi guide e turisti e si perde nelle tante leggende dei castelli transilvani.

 




Un Albergo di ghiaccio nella fortezza di Dracula

In Romania, a 2034 metri di altezza, nell’affascinante massiccio Făgăraș, chiamato anche le Alpi della Transilvania, c’è un luogo da brivido...nel vero senso della parola, e non metaforicamente, viste le condizioni climatiche particolarmente rigide. Sono sicura che la parola brivido accostata alla Transilvania fa pensare, inevitabilmente, al tenebroso conte-vampiro che, peraltro, ha edificato da queste parti la sua Fortezza Poenari, l’unica residenza reale che possiamo davvero chiamare il Castello di Dracula.

ice oh hotelNon è un caso che è stato scelto proprio questo posto per costruire il primo Albergo di Ghiaccio dell’Europa dell’Est, ispirato a quelli dei Paesi Scandinavi, Canada o Giappone. Il panorama, dominato dalle cime più alte e spettacolari della Romania,  è imponente e magnifico. Il posto è talmente isolato e selvaggio che d’inverno è raggiungibile solo attraverso una funivia. D’estate, invece, è aperta “la strada tra le nuvole”,  la più bella del mondo, come l’hanno definita i realizzatori del famoso programma televisivo della BBC, Top Gear. Si tratta di Transfagarasan, una delle attrazioni turistiche più conosciute al mondo per gli amanti dei viaggi su 2 e 4 gomme, diventata spesso set cinematografico per gli attori di Hollywood.

Il portale inglese Business Insider ha incluso l’Albergo di Ghiaccio rumeno tra le 100 destinazioni che vale la pena visitare nel 2016 e il magazine italiano GreenMe,  l’ha scelto tra i 10 alberghi di ghiaccio più suggestivi del mondo.  “Ammirare questo Ice Hotel sullo sfondo del lago ghiacciato (ndr. Lago Bâlea, il più grande lago glaciale della Romania) è considerato un vero e proprio privilegio per i viaggiatori che visitano la Romania in inverno!”.

lavoriA partire dal 2006, l’albergo viene ricostruito ogni inverno con materiali provenienti dalla natura, ossia immensi blocchi di ghiaccio tagliati con tecniche speciali e portati dal Lago Bâlea. Gli artigiani del posto aspettano che le acque congelino per poter estrarre la materia prima necessaria. E’ un arduo lavoro,  date le condizioni atmosferiche, con nevicate abbondanti, e temperature molto rigide, che possono arrivare a 25 gradi sotto zero, ma i 30 operai riescono ad ultimare sempre i lavori prima di Natale, quando si apre la stagione, con i primi turisti “temerari”. Per poter pernottare, all’arrivo, gli ospiti devono firmare una dichiarazione, sotto la propria responsabilità,  per dimostrare di essere consapevoli delle condizioni climatiche in cui alloggeranno, ma poi potranno godere di un sonno tranquillo nei letti coperti con panelli di legno,  pellicce di pecora e soffici sacchi a pelo, potranno riscaldarsi al bar, seduti ai tavoli di ghiaccio, davanti a un bicchiere di vino bollente, con la cannella, o di țuică, la famosa grappa rumena di prugne, 70 gradi di alcol puro! E’ garantito che, una volta assaggiata,  non si sentirà più la temperatura all’interno, tra i -2 e +2 gradi. Alla fine della serata, gli ospiti potranno anche scatenarsi sulle due piste da ballo del ristorante.

albergo ghiaccio 2La struttura dell’hotel e il suo ambiente sono diversi ogni anno. Questa stagione,  il tema è l’Europa e le 14 stanze hanno nomi che richiamano alcuni dei paesi europei: il Salone viennese,  la Dutch Room olandese, lo Studio Helsinki,  English Home, High Lisbon, Bella Italia, la Casa ungherese, Spanish Kingdom, Deutsche Haus, Irish Room, Frozen Sweden, Luxemburg e Greek Studio. La stanza rumena, chiamata Odaia de Sus, è decorata con una copia in ghiaccio della Colonna infinita del grande scultore rumeno Constantin Brâncuși.

piste sciNei pressi dell’albergo, viene allestito un parco per gli sport invernali,  aperto 24 ore su 24, dotato con un sistema di illuminazione notturna, in cui si può pattinare, andare con la slitta, col bob o fare snowboarding. Quello che rende questo albergo unico è la sua chiesa di ghiaccio, la più grande d’Europa, dopo quella simile costruita in Svezia. Inizialmente, la Chiesa Ortodossa rumena ha criticato l’edificio, motivando che non si possono accettare “chiese che si sciolgono in pochi mesi“, interno chiesama nel gennaio del 2015, a 20 gradi sotto zero, l’inedito luogo di culto è stato consacrato, durante una cerimonia ecumenica, dai rappresentanti delle Chiese ortodossa, cattolica e luterana.

Sono in tanti quelli che hanno pensato di rendere davvero indimenticabile il giorno del matrimonio e hanno scelto di sposarsi qui, davanti all’altare di ghiaccio e alla rappresentazione dell’Ultima cena, realizzata con rilievi intarsiati alle pareti. Qualcuno più folle, come il sindaco della città di Avrig (l’ideatore dell’Albergo di Ghiaccio), ha battezzato qui il figlio. Non oso immaginare il momento in cui, secondo il rito ortodosso, il bambino nudo viene immerso interamente nell’acqua benedetta e…ghiacciata!matrimonio

La chiesa è una replica di un identico luogo di culto sassone che si trova nel paesino Mălâncrav (provincia di Sibiu), dove il principe Carlo d’Inghilterra possiede una tenuta. Ha un piccolo altare, panchine e icone, di ghiaccio,  in bassorilievo. L’unica accortezza è di non accendere più di due candele alla volta per evitare che si sciolga. L’inevitabile accade comunque ogni anno, verso aprile, quando sia l’albergo che la chiesa scompaiono lentamente, sotto i raggi del sole.

chiesa ghiaccio