1

Castello Peleș, tra re, imperatori, dittatori e…Gustav Klimt

La Transilvania non è solo luogo di castelli tenebrosi, foreste misteriose, atmosfere cupe e oscure,  fantasmi svolazzanti a mezzanotte tra lupi ululanti  e pipistrelli  che volano via…
Anche se la letteratura e la credenza popolare hanno da sempre identificato la regione “oltre foresta”, la Transilvania, con questi luoghi comuni esiste un castello fiabesco, romantico, regale, incantevole, situato in uno scenario magnifico, circondato dai maestosi Monti Carpați a pochi chilometri da Brașov, a due passi dal  famigerato Castello di Bran.

cartello orsiCi troviamo a Sinaia, a 120 km da Bucarest, al Castello Peleș, definito spesso come la perla della Transilvania. Non lasciatevi intimorire dai cartelli che vi avvertono della presenza (reale) degli orsi in zona e nemmeno dal chilometro e mezzo che dovete percorrere a piedi dal parcheggio… ne vale la pena!

Vi troverete davanti a una meraviglia architettonica immersa in un paesaggio fantastico, con giardini disposti a terrazze, circondato da fitte foreste.

Dopo avervi fatto indossare copriscarpe di plastica per non rovinare il parquet e i meravigliosi tappeti del castello, le guide vi avvertiranno subito di un fenomeno esoterico registrato in alcune stanze del castello, nel mese di luglio, ilregina maria mese in cui è morta la regina Maria di Romania (nel 1938). E’ il cosiddetto lutto viola.

La regina era appassionata di fiori e fece mandare dall’India una specie rara di violette che piantò nel giardino del castello. Ogni anno, nei giorni della ricorrenza della sua morte, nell’aria si sente un profumo intenso di violette, ma solo nelle stanze della regina. Il profumo compare e scompare inspiegabilmente e lo testimoniano non solo le guide ma anche molti turisti.

Considerato tra i più belli dell’Europa, il castello è un capolavoro di architettura eclettica dominato dallo stile neo rinascimentale tedesco. Voluto dal re Carlo I della Romania e dalla sua famiglia, gli Hohenzollern, il castello fu eretto tra il 1873 e 1883.

L’influenza sassone è castellopresente sin nelle facciate del cortile interno, ornate da un allegorico murales e da dipinti a mano, con struttura Fachwerk (a graticcio), simile allo stile dell’architettura alpina del nord Europa.

Il Castello Peleş ha una superficie di 3.200 metri quadrati, è dotato di 160 camere, molte ornate con temi esclusivi provenienti da tutte le culture del pianeta. I temi variano a seconda della funzione (uffici, biblioteche, armerie, gallerie d’arte) o per stile (fiorentino, turco, arabo, francese, Imperiale). Tutte le camere sono estremamente e lussuosamente arredate, decorate nei minimi dettagli. Vetrate con scene di favole tedesche, lampadari in vetro di Murano, intagli in legno pregiato e oro o pareti rivestite in pelle di Cinterno mauroordoba, porcellane di Sèvre e sculture in avorio vengono a completare le 160 stanze della residenza prediletta della famiglia reale e soprattutto della regina Elisabetta (di Wied), moglie di re Carlo, mecenate e a sua volta scrittrice di un certo successo (conosciuta con il nome di Carmen Sylva).
Alla decorazione della sala della musica e del teatro, contribuì anche Gustav Klimt, amico della regina.

Una statua torreggiante del re Carlo I, che si affaccia all’ingresso principale, è dello scultore italiano Raffaello Romanelli,  che realizzò anche sette terrazze del giardino neo-rinascimentale, per lo più di marmo di Carrara.

Il Castello Peleș è considerato anche il castello dei re carloprimati:

E’ stato il primo edificio del genere a disporre sin dalla costruzione di riscaldamento centralizzato, di ascensore e il primo al mondo completamente alimentato da energia elettrica prodotta in loco.  Inoltre, nella sala del teatro voluta dalla regina, è stata presentata per la prima volta in Romania una pellicola cinematografica.
Re Carlo I ed Elisabetta non ebbero un matrimonio di natura politica, come spesso accadeva, ma d’amore. Per questo aggiunsero a Peleș un primato di diversa natura, dormendo nello stesso letto!

Il costo dei lavori del castello, tra il 1875 e il 1914, è stato stimato in circa 120 milioni di dollari di oggi. Lavorarono alla costruzione oltre 400 uomini provenienti da tutta l’Europa.

Il multietnico lavoro di squadra è ben descritto dalla regina nel suo diario:


interno2Gli italiani erano muratori, i romeni costruivano terrazze, gli albanesi e i greci lavoravano la pietra, i tedeschi e gli ungheresi lavoravano il legno.

I turchi costruivano mattoni. Gli ingegneri erano polacchi, mentre gli scalpellini erano cecoslovacchi. I francesi erano disegnatori, gli inglesi erano alle misure. Si potevano osservare centinaia di costumi nazionali e parlavano, litigavano e cantavano in quattordici lingue in tutti i dialetti e desinenze, un mix gioioso di uomini, cavalli, carri, buoi e bufali domestici.

scala pelesIl castello ha avuto il suo periodo di gloria,  alla fine del novecento, quando ha ospitato, oltre a re ed imperatori (tra cui Francesco Giuseppe I d’Austria e l’imperatrice Sissi) anche tanti grandi artisti dell’epoca: Sarah Bernhardt, George Enescu, Pierre Loti, Pablo de Sarasate, Gabrielle Rejane, Jacques Thibaud ecc.

Con l’avvento del regime comunista e l’abdicazione forzata del re Michele I di Romania nel 1947, cominciò un periodo tormentato per le sorti del castello.  Il regime sequestrò tutti i beni reali e tra questi anche la tenuta di Peleş. Il castello venne trasformato, per un breve periodo, in attrazione turistica. Fu anche luogo di riposo e di svago per personalità culturali rumene. Durante gli ultimi anni del regime comunista, Nicolae Ceauşescu chiuse l’intera struttura e la zona venne dichiarata “area cerimoniale di interesse”.

Simbolo di una gloriosa monarchia, Ceauşescu non amava molto il castello. Le sue visite erano rare e solo per accompagnare dignitari stranieri come Richard Nixon, Gerald Ford, Mu’ammar Gheddafi e Yasser Arafat.
Nel 1980, una parte del legname con il quale erano costruiti alcuni infissi fu infestato da un fungo e il dittatore, ossessionato dalle malattie, smise per sempre di andarci.

Nel 2006, il governo rumeno ha restituito il castello all’ex monarca Michele I che lo ha affittato  allo stato romeno permettendo di fatto il ripristino della sua collocazione nel patrimonio turistico nazionale.  Il Castello Peleş ospita  quasi mezzo milione di visitatori ogni anno.

pelisorA poche centinaia di metri dal Castello Peles si trova il Castello Pelișor, più piccolo ma completamente arredato dalla regina Maria, moglie del re Ferdinando. L’edificio, costruito tra il 1899 e il 1903,  in perfetto stile art nouveau su progetto dell’architetto ceco Karel Liman, rispecchia lo stile personale e sorprendente della regina, una vera e propria esteta, e contiene una collezione unica di mobili viennesi e numerosi oggetti Tiffany e Lalique.

La prestigiosa rivista francese Le Figaro ha definito il Castello Peleș come la più bella residenza reale estiva d’Europa, un luogo spettacolare che avrebbe potuto ispirare…Walt Disney!

brothers bloomSe Disney non è arrivato mai da queste parti, ci sono stati tanti altri registi che hanno scelto quest’ambientazione per i loro film. Il castello è stato descritto nel film del 2008 The Brothers Bloom. L’esterno è stato utilizzato per rappresentare una vasta tenuta nel New Jersey, la casa di un’eccentrica miliardaria interpretata da Rachel Weisz. Nel 2011, nello stesso scenario è stato girato il film A Princess for Christmas. Anche il regista Francis Ford Coppola ha girato, nel 2007,  a Sinaia,  scene del suo  film, Un’altra giovinezza. adrien brody




Legami di sangue! Il vampiro e la fanciulla, il grande amore di Dracula

C’era una volta un principe dagli occhi verdi, “come un drago”, affascinante, gentile e romantico che vide un giorno una bella fanciulla, dai capelli lunghi e biondi e dagli occhi azzurri come il cielo, di cui se ne innamorò perdutamente. Per lei ordinò gli abiti principeschi più belli, a Venezia e nelle Fiandre. Con lei fu tenero e amabile, per lei diventò crudele e vendicativo. Lui si chiamava Vlad III, era il principe della Valacchia; lei Katharina Siegel, figlia del capo della corporazione dei tessitori di Brașov. Lui aveva 34 anni, lei appena 17. Si amarono per più di vent’anni ed ebbero 5 figli, anche se però non vissero felici e contenti…

katharina2Non è la scena iniziale di un film su Dracula,  frutto di qualche sceneggiatore pieno di fantasia, ma una vera storia d’amore, quasi sconosciuta,  di cui si è parlato poco, forse perché l’immagine del vampiro più famoso del mondo, innamorato davvero di una sola donna, non è proprio adatta alla figura del principe crudele e spietato che ha ispirato per cent’anni scrittori, registi e musicisti.

Una Cronaca Transilvana, scoperta nella città di Brașov, rivela dettagli sulla vita privata di Vlad III, l’Impalatore, nei cinque anni in cui era governatore militare della Transilvania, tra il 1451 e il 1456.

I cronisti descrivono un principe affascinante, invidiato dagli altri nobili per il suo aspetto, per la sua smisurata cultura (si racconta che leggesse Aristotele, i classici e gli autori medievali), per il suo rapporto con il Papa Pio II,  che lo vedeva come simbolo della cristianità e lo incoraggiò nella sua campagna anti-ottomana. Non c’era donna che non fosse attratta dalla sua bellezza, dalla sua appartenenza all’Ordine del Drago, dal suo cuore impavido,  dalla sua passionalità e dal suo mistero. Ebbe due matrimoni ufficiale, ma si contornò di tante amanti che dettero alla luce altrettanti figli illegittimi. Sembra, però,  che l’unica donna per la quale abbia perso davvero la testa, sia stata la ragazza più bella di Brașov, Katharina.

OLYMPUS DIGITAL CAMERALe cronache descrivono la scena in cui i due si sarebbero incontrati,  in un gelido inverno del 1455, col Natale alle porte, mentre la fanciulla, insieme alle sue cugine,  trainava faticosamente, su una collina,  una slitta con i rifornimenti per i soldati accampati nella roccaforte di Brașov. Secondo le usanze locali, tutte le famiglie della città dovevano assicurare, a turno, i rifornimenti per soldati che il governatore militare Vlad III aveva ospitato lì per difendere la città dai turchi. Quella mattina di dicembre, il principe, appena la vide, fu colpito dalla sua bellezza e si offrì di aiutarla a trainare la slitta. La ragazza fu conquistata dalla sua gentilezza e, nonostante le cose orribili che aveva sentito su di lui, non resistette al suo fascino tenebroso e se ne innamorò follemente.  All’epoca, il principe era sposato con Anastasia, la nipote del re della Polonia, con la quale ebbe tre figli. Oltre alla moglie, il principe frequentava altre tre donne, descritte nelle cronache del tempo come le sue amanti ufficiali: Ursula di Sighișoara, Erika di Bistrița e Lize di Sibiu. Le testimonianze storiche raccontano che, nel momento in cui Vlad incontrò Katharina, dimenticò tutte le altre, e che la fanciulla di Brasov conquistò per sempre il suo cuore.

Fu un amore tormentato, fin dall’inizio, visto che la relazione scontentò alcune famiglie di nobili sassoni della città, che volevano Katharina sposa per il loro figli. A dispetto di tutti, il principe Vlad, diventato nel frattempo sovrano della Valacchia, non rinunciò mai alla sua amata, pagando l’alto prezzo della vendetta e della crudeltà.

piata brasovSi racconta che, nel 1459, il sovrano diede ordine di impalare una decina di commercianti sassoni della città, colpevoli di aver ardito intrighi contro di lui, facendo poi colazione tra i loro corpi moribondi.
Arrivò alle sue orecchie la notizia che le mogli degli altri commercianti, ancora prigionieri, presero Katharina per vendetta, la portarono nella piazza della città e la legarono al palo dell’infamia. Il principe dovette liberare i loro mariti per salvare la sua amata, non prima di aver minacciato di incendiare la città. La leggenda racconta che, arrivato nella piazza, vide a terra le lunghe trecce bionde di Katharina, che le donne avevano tagliato, prese una ciocca e la conservò per tutta la vita in uno scrigno segreto.

Il principe Vlad non sposò mai Katharina, anche se chiese per ben due volte al papa Pio II l’annullamento del suo matrimonio con Anastasia.
Nel 1462, in seguito ad un complotto di corte, Vlad fu arrestato dal re ungherese, Mattia Corvino e la moglie Anastasia si suicidò, gettandosi nel fiume che scorreva intorno al palazzo reale (scena ripresa poi nel film Dracula di Francis Ford Coppola).  Fu liberato solo dopo aver promesso al re di sposare sua sorella, Elisabetta.  Il nuovo matrimonio non mise fine alla storia d’amore tra il principe e Katharina, con la quale ebbe 5 figli, ognuno di loro citato nel suo testamento.

SONY DSCDopo la morte di Vlad, Katharina, si rinchiuse, a 39 anni, in un convento, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.

Il “principe delle tenebre” morì nel mistero, dando vita alla sua leggenda, in una data imprecisata tra l’ottobre e il dicembre del 1476.
Secondo alcuni studiosi, venne ucciso per sbaglio perché scambiato per un turco, secondo altri morto in battaglia contro gli ottomani e la sua testa tagliata ed inviata insieme alla sua spada a Costantinopoli, come macabro trofeo di guerra.

Anche il luogo della sua morte è ignoto,  ma sembra sia possa essere successo tra Bucarest e Giurgiu.

Altra ipotesi sostiene invece che Vlad Tepes avrebbe sì combattuto, ma poi sarebbe stato fatto prigioniero a Costantinopoli, riscattato dalla figlia, portato al sicuro in Italia e infine sepolto nella chiesa di Santa Maria la Nova, a Napoli. Ma questa è un’altra storia o un’altra...tarantella!




Chi ha paura dei cartoni animati? Scooby Doo e lo spettro del comunismo!

Crescere negli anni ’70 e ’80, in una Romania comunista, con un regime dittatoriale folle, vuol dire vivere una non-infanzia, un’infanzia segnata da ideologie insensate, e non solo perché la sera mancava la corrente e facevamo i compiti al lume di una candela, o perché l’acqua calda era il sogno proibito dei fine settimana e il riscaldamento, questo sconosciuto, seguiva delle programmazioni assurde che ignoravano il fatto che fuori ci fossero anche 30 gradi sotto zero!

No, non voglio dire che parte della mia infanzia sia stata un po’ annacquata perché bisognava aspettare il Natale per mangiare un’arancia, talmente acerba e con la buccia così grossa che,  quando la tagliavamo, rimanevamo con in mano pochi spicchi, acidi e asciutti,  o per sentire il gusto esotico delle banane, sempre nere e sempre troppo mature (ho scoperto solo dopo la dittatura che erano in realtà gialle!); non lo dico neanche perché il cioccolato era un lusso spesso inarrivabile, le gomme da masticare una merce di “contrabbando” (vedi mercato nero, davvero!) e i giocattoli un vizio capitalista!

Voglio puntare il dito contro un’infanzia senza Tom and Jerry e Bugs Bunny, senza Biancaneve, senza Cenerentola, Scooby Doo e Casper, senza La carica dei 101,  senza Pinocchio, senza Lilly e il Vagabondo, senza Braccio di Ferro! Un’infanzia con appena 5 minuti di cartoni animati al giorno, con il prolungamento a mezz’ora nel fine settimana, sull’unico canale Tv esistente, e solo nelle uniche 3 ore di programmazione giornaliere, dalle 19 alle 22.

I 5 minuti di cartoni animati erano comunque, per noi bambini,  una boccata d’aria quotidiana, concessa in una prigione sempre più grigia e angusta. Lo show era incastrato tra un discorso patriottico e incalzante del dittatore Ceausescu e il telegiornale che glorificava le grandi vittorie del comunismo.
Sulle ultime parole del discorso si sentivano già le mamme urlare a squarciagola alle finestre chiamare i bambini che giocavano nel cortile: DESENEEEEE!!! (cartoni animati, in rumeno) e, un secondo dopo, una generazione di bambini era davanti alla TV, rigorosamente in bianco e nero. Ehm, giusto per dirla tutta, non è che fossimo arretrati col progresso. Anche in Romania, come nel resto del mondo,  la televisione a colori era arrivata; l’unico problema era che i programmi erano  trasmessi in bianco e nero, alla fonte. Pare infatti che il dittatore avesse visto il suo faccione sullo schermo a colori e che non avesse gradito le impietose macchie di vecchiaia che si rivelavano sulla sua pelle!! E dunque bianco e nero fu! Come la nostra vita, bianco e nero

Lo so che state pensando che sia pura follia… ma aspettate di leggere cosa erano questi cartoni animati, anzi cosa non erano!

 

Olivia_elena_ceausescu
Olivia e Elena Ceausescu

Cominciamo col dire che la dittatura bocciò Braccio di Ferro perché pare ci fosse somiglianza fisica tra Olivia ed Elena, la moglie del dittatore e questo poteva dar vita a battute infelici e “dissacranti”.

specchioBiancaneve fu messa al bando per un motivo analogo. La scena in cui la matrigna pronunciava le famose parole: Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame, poteva far pensare alla stessa Elena, assai vanitosa e, ahimè, non dotata di grande bellezza.
101-dalmatieniLa carica dei 101 l’ho visto a vent’anni, perché il film fu messo sulla lista nera dei cartoni “sovversivi“, visto che all’epoca era in vigore la legge che vietava di tenere animali da compagnia in casa e il film invece istigava proprio a questa malsana abitudine “borghese“.
tom jerry romaniaTom and Jerry li ho visti ma… furono censurate e tagliate tutte le scene che istigavano alla violenza (praticamente tutto!), considerate anti-educative, poi, quando la battaglia col topo fu persa, furono cancellati.
casper_romania

Ho scoperto Scooby Doo e Casper molto molto più tardi, insieme a mio figlio, perché nell’infanzia dei piccoli comunisti non c’era posto per fantasmi che potevano tormentare la nostra mente.

Calimero_romaniaAvete presente Calimero, l’innocuo pulcino nero sfortunato e sventurato? Beh, per la censura comunista era impensabile far sentire ai bambini una frase vittimista come: “Eh, che maniere! Qui tutti ce l’hanno con me perché io sono piccolo e nero… è un’ingiustizia però“, così, al doppiaggio, la frase è diventata: “Io sono piccolo, tutti mi rimproverano, non so più cosa fare per farmi amare“.
Dick_Turpin-romaniaCi passavano le puntate di una serie chiamata Dick Turpin, sulle avventure di un bandito inglese del XVIII secolo. Tutte le puntate in cui comparivano le monache del monastero dove il protagonista si nascondeva furono tagliate e furono cancellate tutte le immagini sacre: croci, altari, chiese.

A questo punto urge una piccola pausa, una parentesi per spiegarvi cosa era il doppiaggio ai tempi del dittatore. Il doppiaggio dei cartoni animati era costituito da un’unica voce narrante, la stessa per ogni personaggio comprese le voci fuori campo. Più tardi la tradizione dell’unico narratore fu mantenuta, anche dopo la censura e per molti anni a venire, arrivando al punto di doppiare (qui il corsivo è d’obbligo!) i film in diretta, mentre arrivava nelle case. Dal 1994 al 1995 ho lavorato come doppiatrice live(!) per un provider televisivo, una sorta di Mediaset locale ante litteram che distribuiva alle famiglie via cavo film derivanti da satelliti europei.

Rimando questo racconto ad un futuro post e vi lascio solo immaginare cosa potesse essere per uno spettatore assistere ad un film come Ghost, per citare solo uno dei più emozionanti, in cui, sul parlato originale in sottofondo, senza conoscere fino a quel momento né trama né pause né sequenze, la mia voce era contemporaneamente e in diretta – ci tengo a sottolineare questi particolari – quella di Patrick Swayze, Demi Moore, Whoopi Goldberg, Tony Goldwyn!! I sottotitoli arrivarono dopo… per fortuna!

Ma torniamo a dove eravamo rimasti. Quest’unica voce aveva l’ingrato compito di tradurre solo quello che il partito e la sua vigile commissione di cenzură aveva approvato. Inoltre i messaggi dovevano essere dolci e positivi, anche se non avevano nessun nesso con quello che l’azione cinematografica mostrava!

C’erano poi i cartoni graditi, quelli educativi. Erano in genere russi o polacchi e tutto sommato ci piacevano, forse perché erano davvero divertenti o solo perché non avevamo scelta, ma le avventure del lupo che inseguiva il coniglio nel cartone russo Nu pagadi zait (una sorta di Wile E. Coyotee Beep Bee non violento), o le avventure mute di Lolek e Bolek, i due ragazzi-modello polacchi, che non parlavano mai, accendevano la nostra fantasia! Ho appreso in seguito che persino gli ingenui e muti Lolek e Bolek furono censurati: una puntata in cui i due bambini toglievano le piume da un gallo per giocare agli indiani fu cancellata perché il loro gesto fu considerato troppo violento.

Insieme alla mia generazione, sono cresciuta e mi sono formata principalmente con i cartoni animati della grande madre Russia. Il segno è stato talmente profondo che ho obbligato anche mio figlio da piccolo a guardarli, 30 anni dopo. Se glielo chiedo adesso, che ha 11 anni, si ricorda che erano simpatici e divertenti.

Devo ammettere però che, se io gli ho fatto scoprire la fantasia russa, lui mi ha aperto gli occhi offrendomi una seconda fanciullezza rivelandomi un mondo nuovo, quello dei film Disney! Tra me e lui non potrei dire chi era il bambino in quei momenti in cui guardavamo insieme per la prima volta Cenerentola, Biancaneve, Le avventure di Peter Pan, La bella addormentata nel bosco…

scooby2




Gli orfani bianchi della Romania

Li chiamano orfani bianchisono bambini tristi, che crescono troppo in fretta, tra nostalgia e rabbia. Sono i figli delle badanti, partite per cercare fortuna altrove, donne altrettanto tristi, quelle che incontriamo per le strade delle nostre città mentre accompagnano qualche anziano aggrappato al loro braccio… e alla vita. In quella camminata muta, con lo sguardo spento, c’è spesso il dolore di una madre che ha dovuto abbandonare i propri figli lasciandoli ad un padre, un parente, un amico, un vicino di casa. A loro volta, molti mariti, spaventati dalle proprie responsabilità genitoriali, crollano tra depressione ed alcolismo, peggiorando una situazione familiare già precaria.

Secondo Unicef, in Romania, sono oltre 350.000 i bambini vittime di questa situazione!

Mi sono sempre chiesta quanto grande possa essere la disperazione che ti spinge a lasciare tutto e tutti, ad andartene, convinorfanibianchita però di fare la cosa migliore proprio per quelli che stai abbandonando. Siamo circondati da migranti, siamo gli eredi di generazioni di emigranti… ma queste sono mamme che partono senza i propri figli, che scelgono di salvare la vita della propria famiglia rinunciandoci spesso per sempre! 

Mi piace origliare quando le incontro negli aeroporti e raccontano la loro vita a qualche sconosciuto. Solo ascoltandole ti accorgi che non c’è risposta alla mia domanda. I racconti sono spesso interrotti da lacrime. Mi piace pensare che le badanti che incrocio negli aeroporti, a differenza di quelle dei giardinetti pubblici, siano più fortunate, significa che tornano a casa o che ci sono state, dopo due o tre anni, qualche giorno, quel poco che il loro lavoro le permette. Alcune hanno lasciato a casa bambini che ritrovano ormai adolescenti ribelli, incompresi, chiusi nella loro solitudine.

orfani2Maricica fa la badante in Italia da ben 17 anni, con la famiglia in Romania e, nel cuore, una figlia di soli 10 anni che, con i soldi spediti dalla madre, nel frattempo ha studiato, ha comprato casa e si è sposata diventando a sua volta mamma. Ora Maricica sta tornando a casa per il battesimo di suo nipote. La vita è andata avanti, imperterrita, scorrendo tra i fotogrammi sgranati delle video-chiamate di Skype, abbracci virtuali, sguardi mai limpidi e parole interrotte. La ascolto parlare, con la sua voce tremula, mentre dice che ha deciso di ritornare definitivamente in Romania, “ho perso tanti anni della vita di mia figlia, non voglio perdere anche mio nipote”.

La maggioranza dei bambini ha meno di dieci anni.

disegno
Cara mamma, ti amo e mi manchi. Ti prego, torna!

Nella categoria “orfani bianchi”, le sfumature di sofferenza sono purtroppo varie: ci sono i bambini che crescono con un solo genitore o senza entrambi; c’è chi può comunque affidarsi ad una rete di familiari e chi resta completamente solo finendo in un istituto per minori. Più della metà vive nelle zone rurali, dove è più frequente che siano le madri a partire, contrariamente alle grandi città dove più spesso è il padre ad allontanarsi.

Da alcuni anni, lo stato rumeno obbliga le famiglie ad avvisare le autorità, 40 giorni prima della loro partenza, e di lasciare a qualcuno la tutela legale del bambino. Le procedure sono lunghe e chi prende in affido un minore deve avere determinate caratteristiche: sottoporsi ad un test psicologico, dimostrare la possibilità economica di ospitare… per questo il più delle volte si evita di farlo. Tante, poi, non dicono che vanno a fare le badanti, si vergognano perché in Romania sono ingegneri, insegnanti, hanno una preparazione universitaria. Così partono e basta. Di recente è stata approvata una legge che multa i genitori che vanno via senza avvisare le autorità, con l’unico l’effetto di creare una sorta di rete clandestina.

Gli psicologi che studiano il fenomeno degli orfani bianchi li hanno paragonati ai cosiddetti bambini con la chiave al collo, della dittatura comunista, che passavano il loro tempo nei cortili, sempre con la chiave di casa appesa al collo, in attesa che i genitori rientrasserchiave colloo la sera, dopo una giornata di lavoro. Quella generazione, spiegano gli esperti, è spesso la stessa che oggi emigra lasciando i figli in patria, pensando che, così come è stato per loro in passato, il compito del genitore sia principalmente quello di sostenere i figli da un punto di vista materiale. E’ una generazione che è stata abituata ad una distanza emotiva e a volte anche fisica dai genitori.

Faccio anche io parte di questa generazione, sono cresciuta anche io con la chiave al collo, che mi ricordo mostravamo con orgoglio, perché per noi era sinonimo di responsabilità, di fiducia, di autonomia, a 6 anni eravamo abbastanza grandi per poter tornare a casa da soli,  aprire la porta, riscaldarci il pranzo, mangiare da soli o con i fratelli, fare i compiti,  scendere a giocare, chiudere la porta dietro di noi, per poi riaprirla… Non concordo con la teoria degli esperti e il loro paragone con gli orfani bianchi di oggi, ho riversato anni di carenze affettive nell’amore per mio figlio e la mia famiglia, forse sono stata fortunata, ma questo ha poca importanza.

Mama te iubește, Mamma ti vuole bene

skypeE’ il nome di un progetto iniziato da Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione donne rumene in Italia. Tramite la rete delle biblioteche nazionali romene, molti paesi e città romene si sono popolate di postazioni Internet da dove i bambini rimasti soli possono collegarsi gratuitamente via Skype per parlare e vedere le mamme a distanza. Non basta il telefono per restare in contatto con le mamme, spiega Silvia, serve il contatto audiovisivo, per vedere come crescono i propri figli, soprattutto quando le donne non riescono a tornare a casa almeno una volta all’anno. Non è come essere a casa con il proprio figlio e dargli il bacio della buona notte. Però ci si può confidare, fare i compiti insieme, ci si può guardare negli occhi, i bambini possono andare a dormire con l’immagine della mamma.

Per molti dei bambini rimasti in Romania, soprattutto nelle zone rurali i contatti sono radi, subentra il senso dell’abbandono, la depressione, soffrono di crisi d’ansia, hanno disturbi dell’apprendimento, sviluppano un senso di apatia e di insofferenza al mondo. Considerata l’età, il suicidio è frequente (dal 2008 ad oggi,  in Romania,  ci sono stati 40 casi di suicidi), mentre, stanchi, questi bambini aspettano e crescono troppo in fretta.

disegno2
Cara mamma, ti voglio bene. Sono stata arrabbiata perché mi hai lasciato sola. Quando te ne sei andata mi sei mancata tanto!