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La mia Babele interiore

Sono nata in un paesino della Transilvania, dove l’80% degli abitanti erano ungheresi, ho imparato a parlare mischiando facilmente il romeno e l’ungherese, perché i miei amici erano ungheresi, la mia maestra di asilo era rumena, la nostra vicina che si prendeva cura di noi quando i miei erano al lavoro si chiamava Marinèni e faceva delle zeppole con la marmellata di prugne squisite. Il marito, Pistàbacsi, ci accompagnava a scuola con la carrozza, dopo portava mio padre, che era il sindaco del comune, in giro per i paesini. Nel tempo libero, mio padre era anche l’istruttore di ballo per il gruppo popolare ungherese del comune. La mia migliore amica si chiamava Bobby ed era ungherese. A 8 anni ci siamo trasferiti a Bistriza, una città sassone nel nord della Transilvania, dove tutte le scuole avevano sezioni in tedesco e ungherese. I sassoni, “sașii”, erano ancora numerosi, prima che molti emigrassero in Germania. A Bistriza si parlava rumeno, tedesco, ungherese e romanes. A scuola, la mia amica del cuore si chiamava Edith, aveva la mamma sassone e il papà ungherese, parlava tre lingue ed è stata la prima ad avere jeans “capitalisti” portati dalla Germania dell’Ovest (all’epoca c’era ancora il Muro di Berlino). I cinque anni di università li ho fatti sempre in Transilvania, a Cluj Napoca, la capitale della regione, “Cluj, Koloszvar, Klausenburg”: questi erano i tre nomi che si potevano leggere all’ingresso nella città. Spesso quando entravo in qualche negozio mi si chiedeva in ungherese cosa desideravo. Non sono riuscita ad imparare bene l’ungherese e me ne pento, anche se ricordavo ancora parecchio di quello che avevo imparato da piccola. Ero troppo impegnata con la scoperta e lo studio della lingua russa e con le letture dei classici russi. All’università ho studiato anche il portoghese, perché il professore era una persona affascinante. Dopo la laurea ho vinto una borsa di studi e ho vissuto per un anno in Portogallo, a Lisbona, mi innamorai perdutamente di questo paese e della sua lingua. Non è successa la stessa cosa in quei 5 mesi vissuti in Danimarca a studiare il giornalismo preso la Fondazione per la democrazia. Il danese è difficile, freddo e duro. Ho imparato abbastanza per capire quando qualche danese affascinante mi sussurrava “Jeg elsker dig”, che vuol dire “ti amo”. Da 12 anni vivo in Italia, a Napoli. L’italiano è la mia seconda lingua, anche se la mia lingua del cuore rimane il portoghese. Ho vissuto più della metà della mia vita fino adesso studiando le lingue e non solo nelle biblioteche, ho avuto la fortuna di impararle vivendo in mezzo ai ungherei, tedeschi, portoghesi, danesi, italiani. Mi ha sempre affascinato cercare di capire la filosofia di un popolo attraverso la sua lingua e la sua struttura linguistica. Credetemi, è un’esperienza bellissima, senza paragoni. Creare un blog bilingue mi è sembrata la conseguenza naturale di un percorso linguistico complesso, che ha un inizio, ma no una fine.