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Quel cattolico ortodosso di mio figlio!

Mio figlio è battezzato cattolico ed è praticante ortodosso. Lo so che può sembrare un paradosso, ma ho voluto che crescesse nello spirito “ecumenico” di uno che è nato in una famiglia mista, non solo dal punto di vista etnico ma anche religioso. Ha imparato a fare il segno de la croce quando era piccolo, per imitazione mia e così, all’inizio, lo faceva come gli ortodossi: sempre “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (“în numele Tatălui, al Fiului și al Sfântului Duh”), ma, sullo “Spirito Santo”, la croce si fa a destra e non a sinistra, come i cattolici.
Quando ha iniziato a studiare religione a scuola, ha cambiato “direzione” e faceva la croce da sinistra a destra. Ha avuto un periodo di evidente confusione, perché in Romania, quando passava davanti a una chiesa, voleva farsi la croce e non sapeva se farla come un cattolico o come un ortodosso. Quando accompagnava la nonna rumena alla messa (e grazie alla nonna che è diventato un “aspirante” ortodosso), voleva farla come lei, ma spesso si confondeva. La nonna gli ha spiegato che deve fare il segno della croce come se la sente. Per adesso, suppongo per non far arrabbiare nessuno, lo fa a giorni alterni, cattolica e ortodossa.
Un giorno è tornato da scuola e mi ha detto che aveva fatto il segno della croce ortodosso e che i bambini gli avevano chiesto perché la faceva così. Quando ha risposto che lui è “metà ortodosso e metà cattolico”, gli hanno chiesto se gli ortodossi erano cristiani. Confesso che era una domanda piuttosto inaspettata. L’insegnante di religione gli ha proposto di prepararsi per la prossima lezione e di parlare ai bambini di che cosa fanno di diverso gli ortodossi dai cattolici, oltre che al segno della croce. Mio figlio era molto preparato, soprattutto perché quel mese all’anno che passava con i nonni materni in Romania era per lui un’esperienza quasi… mistica, a tal punto che mio marito mi raccomandava sempre di non far diventare nostro figlio “popă” (il prete rumeno).
Ha cominciato spiegare ai bambini che anche gli ortodossi sono cristiani perché credono in Cristo. Poi ha raccontato del pane santo, questo gli piace molto. Davanti all’altare, dalla prima mattina, si mette un vaso con il pane benedetto, tagliato a cubetti, che ogni credente o anche solo passante che entra in chiesa per dire una preghiera, può prendere. E’ il corrispondente dell’ostia che si distribuisce alla fine della messa cattolica. Solo che il pane santo degli ortodossi è di tutti e Matteo passava ogni mattina a prendere qualche cubetto. La verità è che si riempiva le tasche… Quando non andava alla messa, chiedeva alla nonna, appena entrava in casa, se gli aveva portato il pane santo.
Va in chiesa anche per il coro dei ragazzi, studenti di teologia, che cantano divinamente durante la messa, anche se lui non sempre capisce le parole.
Poi ci sono le icone che riempiono le chiese ortodosse, non ci sono statue, solo icone, tante, dipinte sul vetro o sul legno. Molte con l’immagine della Vergine Maria insieme al piccolo Gesù. Quando si entra in chiesa, si bacia l’icona che si trova davanti all’altare e si fa il segno della croce. Ha raccontato anche di una volta che, mentre ascoltava la messa, il giovedì prima di Pasqua, la messa più lunga dell’anno perché si leggono frammenti dei dodici Vangeli, guardava incuriosito le icone e, ad un certo punto, mi ha detto: “Mamma, hai visto che la Madonna ha le rughe?”. L’hanno sentito tutti, meno male che l’hanno capito in pochi.
Come poteva non raccontare di quello che era accaduto qualche anno fa durante la messa del Venerdì Santo, quando i credenti, con candele accese in mano, circondano la chiesa, pregando e ripetendo le fermate del Golgota, nel Venerdì nero, della crocifissione. Mentre camminavano qualcuno ha iniziato a gridare: “State bruciando i capelli al bambino!!!”. Il bambino era Matteo, qualcuno disattento dietro di lui gli ha bruciato i capelli con le candela.
Poi i santi… Ha spiegato ai bambini che lui festeggia l’onomastico due volte, il 16 settembre e il 21 novembre, San Matteo e Sfântul Matei. In questo è fortunato, perché gli ortodossi festeggiano pochi santi, gli apostoli e gli evangelisti. In Romania non c’è l’onomastico, e né i nonni né i genitori, gli zii, le zie, nessuno lo può festeggiare. E questa cosa i bambini della classe di Matteo non l’hanno gradita tanto.
Le preghiere le ha imparate in rumeno. Padre Nostro (Tatăl Nostru), è uguale, e lo sa bene in rumeno. Quando lo deve dire in italiano fa, nella mente, la sua traduzione, che non è sempre quella corretta. Ma il senso rimane. Per Caterina, la sua amica rumena che vive in Sardegna, è ancora più complicato. La mamma è di origini sassone e gli ha insegnato Padre Nostro in tedesco, a scuola l’ha imparato in italiano e la nonna gliel’ha insegnato in rumeno. Una volta siamo andati insieme a una messa, in Romania e, quando è arrivato il momento del Padre Nostro ha chiesto alla mamma in che lingua doveva dire la preghiera?
La preghiera preferita di Matteo è una che gli ho insegnato quando era piccolino: “Înger, îngerașul meu, roagă-te la Dumnezeu. Eu sunt mic, tu fă-mă mare, eu sunt slab tu fă-mă tare, și de rele ma ferește și-n tot locul mă păzește. Amin”. In traduzione libera sarebbe: “Angelo, angioletto mio, prega a Dio. Io sono piccolo, fammi diventare grande, io sono debole, fammi diventare forte, difendimi dal male e proteggimi ovunque.”
La quaresima è tutto l’anno, non solo prima di Pasqua, ha continuato a spiegare ai bambini, esagerando un po’, poi ha aggiunto che la nonna non mangia quasi niente nei 40 giorni prima di Natale e prima di Pasqua, due settimane a giugno, due ad agosto… Non mangia carne, latte, uova, niente di origine animale, pesce solo se nel calendario ortodosso c’è scritto “dezlegare la pește”. Una volta è venuta a Pasqua in Italia e ha dovuto chiedere al prete una specie di permesso per poter interrompere la quaresima, permesso accordato dalla chiesa ortodossa ai viaggiatori e ai malati.
Quello che ha sorpreso più di tutto gli amici di Matteo è quando gli ha raccontato che a volte, nel cortile della chiesa, gioca insieme ai figli del parroco, che accompagnano il padre tutte le domeniche alla messa. Che altra spiegazione poteva dare un bambino di 10 anni se non la più semplice: “i preti ortodossi si sposano e hanno famiglia.”
Alla fine i bambini gli hanno chiesto perché non faceva la comunione. Perché gli ortodossi non hanno né la comunione, né la cresima.
“Peccato, hanno risposto i bambini, così non fai la festa e non ricevi regali”.
“E’ vero, ha risposto Matteo, ma in cambio festeggio due onomastici.”




Morto che ride!

Lo sapete che l’unico cimitero allegro del mondo ha sede proprio nella rigida e ortodossa Romania? Tombe e lapidi addobbate a festa, colori sgargianti ed epitaffi umoristici su piccoli e grandi episodi della vita e della morte….

Un amico mi ha chiesto recentemente di spiegare come mai l’ortodossismo,  religione così rigida (ndr solo per gli italiani in verità… per noi rumeni un atteggiamento “ortodosso” è definito paradossalmente “cattolico”!), tolleri l’esistenza di un Cimitero Allegro – Cimitirul Vesel –  come questo di Săpânța, nella regione di Maramureș, al nord della Romania. Bella e complicata domanda!
Unico cimitero del suo genere, patrimonio Unesco, riflette in realtà la concezione che avevano sulla morte gli antichi daci, che credevano nell’immortalità dell’anima e nel passaggio ad una vita migliore,  dove li aspettava il loro dio,  Zamolxes. Il mio amico mi è sembrato perplesso, in fondo anche altre religioni hanno il loro dio che li aspetta e l’anima immortale… e allora forse è meglio spiegare che interpretazione hanno dato i rumeni alla morte e alla “vita” dopo la morte, un mix di paganesimo dacico innestato nel sacro ortodossismo. Solo per fare qualche esempio, ancora oggi, quando muore un uomo, gli amici lo vegliano per tre notti e tre giorni, non lo lasciano mai solo, nella convinzione che se verrà lasciato anche per un solo istante l’anima andrà nell’oltretomba più triste. Si danno il cambio incessantemente, mangiano, bevono, giocano a carte in presenza del defunto, raccontano storie divertenti su di lui, ognuno a suo modo, allegramente. Alla fine della veglia, la bara aperta viene trasportata fino alla chiesa dove, dopo la celebrazione della messa e la benedizione del popă, viene finalmente chiusa e condotta al luogo della sepoltura. Dopo le operazioni di interramento i presenti condividono cibo e bevande in un ultimo corale saluto.

Altro esempio significativo è la celebrazione del 1 novembre, giorno dei defunti. I cimiteri si popolano dalla prima mattina, e per tutto il giorno, di allegria. Amici, parenti, bambini usano soggiornare tra le tombe in attesa di visite e visitando a loro volta altri defunti. Le tombe stesse si animano, diventano all’occorrenza tavole da pranzo, banconi di un bar, tutto il cimitero diventa luogo di un’allegra festa conviviale in cui l’elemento predominante è incredibilmente la Vita. Infine sconfinate luminarie animano la notte fino all’alba successiva.

Con una simile visione sulla morte, si dovrebbe cominciare a comprendere meglio il perché dell’esistenza di un Cimitero allegro, un luogo in cui si ride in faccia morte, la si esorcizza, dove i defunti si raccontano in prima persona con umorismo, barzellette, frasi divertenti. Autoironia che comincia spesso ben prima della morte stessa, quando l’aspirante defunto progetta, scommettendo a volte sulla propria fine,  il proprio epitaffio, i colori, il soggetto, il testo in rima baciata, incaricando della realizzazione un artista locale.

Eccone qualche testimonianza:cimitirulvesel3

Io riposo quì e mi chiamo Braieu Toader/Finché ero vivo molte cose mi piacevano/ Bere, mangiar bene e andare molto a donne/Ho amato la vita finché ho potuto baciare”.

“La grappa è veleno puro/Che porta pianto e tormento/Anche a me li ha portati/La morte mi ha messo sotto i piedi/Chi ama la grappa/Come me finirà/Perché io la grappa ho amato /E con lei in mano sono morto”.

Nel Cimitirul Vesel  – un vero cimitero di campagna, diventato museo all’aria aperta – ci sono oltre 800 tombe, realizzate, per la maggior parte, dall’ideatore di questo strano camposanto, uno scultore locale, Stan Ioan Pătraș, che decise di incidere le tombe del cimitero e realizzò, nel 1935,  la prima croce in legno “dipinta di blu”.  Il colore, riconosciuto adesso come albastru de Săpânța (azzurro di Săpânța), è stato scelto perché, nel simbolismo locale, rappresenta la speranza e la libertà. Le vignette sono disegnate in stile naif, con colori sgargianti, giallo, rosso, verde, e sintetizzano insieme al testo la vita del defunto, i suoi hobby, i suoi vizi e qualche volta anche la causa della morte.

“Il mio destino fu di morire sposa promessa/Sono morta a causa di un motore/Vicino al villaggio di Sarasau/Un guidatore crudele mi ha lasciato al suolo.”

Uno degli epitaffi più “apprezzati” è quello della suocera:

“Sotto questa croce pesante/ Giace la mia povera suocera/Se viveva ancora tre giorni/C’ero io sotto e lei leggeva/Voi che passate di qua/Provate a non svegliarla/Perché se ritorna a casa/Mi sgrida di nuovo/Ma io farò in modo/ Che non torni più./Resta qua, cara mia suocera”.

Una passeggiata tra le tombe del Cimitero allegro, molto curato e sempre pieno di fiori, vi darà l’immagine di un popolo che ha trasformato in arte il suo modo di esorcizzare la morte. Lasciano perplessi tutta questa esplosione di colori, le immagini naif che accompagnano gli epitaffi umoristici, tutto ciò che non ci si aspetta di ritrovare in un luogo di sepoltura. Nell’atelier del nuovo scultore popolare che realizza le croci, Dumitru Pop, troverete croci “prenotate” non solo per gli abitanti del paese, ma anche per americani, tedeschi, italiani, qualche giapponese. Turisti che, dopo aver visitato il cimitero di Săpânța, hanno deciso che vogliono riposare qui.

cimitirulvesel2Tutta questa visibilità mediatica, e anche il fatto di essere diventato il cimitero un patrimonio Unesco, non piace molto agli abitanti di Săpânța, che vorrebbero poter continuare a seppellire e piangere (o ridere!) i loro morti in tranquillità, senza dover chiedere permessi alle autorità o al Ministero della Cultura. Infatti, nel 2013,  il ministero si è trovato in una situazione quasi assurda, quando ha scoperto che alcune persone hanno rimosso le croci dei loro cari per ristrutturarle o sostituirle, senza avvisare le autorità. Ogni croce è ormai considerata monumento storico e si può immaginare la perplessità degli ispettori che hanno trovato croci mancanti nel cimitero!

Il Cimitero Allegro è considerato secondo alcuni tra le più belle necropoli del mondo e una delle principali attrazioni turistiche della Romania.

Qualche anno fa, il compositore irlandese, Shaun Davey, ha trasformato in musica le rime degli epitaffi scritti sulle croci, realizzando un concerto chiamato “Voices from the Merry Cemetery”, per 180 musicisti e voci. L’opera è stata presentata al prestigioso Ateneo Romeno di Bucarest ed ha riscosso  un grandissimo successo. Un altro irlandese, Peter Hurley, organizza dal 2010 a Săpânța, un festival interculturale di musica e tradizioni, intitolato “Drumul Lung spre Cimitirul Vesel” (Il lungo viaggio verso il Cimitero Allegro).

Attenzione, se ci state facendo un pensierino, sappiate che i posti sono prenotati e le liste di attesa sono lunghe… calcolate bene i tempi dunque!

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