Pasqua ortodossa: uova rosse, quaresima nera e ragazze “annaffiate”
Da quando vivo in Italia ho dovuto adattare a modo mio il famoso detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. In realtà, passo il Natale con i miei, italiani, e Pasqua con i miei, rumeni. Perciò mi sento come due metà che formano un intero, mai perfetto, ma tutto sommato completo.
Dopo tanti anni ancora adesso, quando si avvicina Pasqua o Natale, mi si chiede se anche noi, gli ortodossi, le festeggiamo e cosa celebriamo, se è la stessa nascita di Gesù e la stessa Resurrezione. Cambiano ovviamente i rituali religiosi e le tradizioni ma il significato delle feste è praticamente lo stesso. La Pasqua Ortodossa in particolare, non si festeggia quasi mai nello stesso giorno di quella Cattolica.
Può capitare qualche rara coincidenza di date ma più spesso cade una settimana dopo la Pasqua Cattolica e qualche altra volta anche un mese dopo. La spiegazione è legata ai diversi calendari che sono riconosciuti dagli stati e dalle chiese. La Pasqua cattolica viene calcolata secondo il calendario gregoriano mentre quella ortodossa tiene conto del calendario giuliano (da Giulio Cesare). Inoltre, il calcolo delle date per la Pasqua tengono in considerazione le fasi della luna: luna piena dopo l’equinozio primaverile, per i cattolici, e luna nuova per gli ortodossi.
Quest’anno, 2015, nella stessa domenica, ho festeggiato la Pasqua cattolica e la Domenica delle Palme ortodossa, chiamata anche Duminica Floriilor, la Domenica dei Fiori, poiché non ricorda solo il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme e i suoi giorni di Passione, ma anche la fioritura e il risveglio della natura. Il suo simbolo sono i rami di salice e coincide con l’onomastico di tutti quelli che in Romania hanno nomi di fiori. Per mio figlio, la confusione iniziale di festeggiare due volte Pasqua in giro di una settimana, si è trasformata nella consapevolezza di appartenere a una famiglia mista in cui Gesù risorge due volte, ma solo tecnicamente, per colpa della luna e calendari vari, incomprensibili per un bambino.
Per gli ortodossi, la Pasqua è la festa delle feste, tanto da non essere neppure inserita tra le dodici grandi feste dell’anno liturgico, occupa di fatto un posto a parte. E’ una festa molto sentita, vissuta con intensità e sacrificio, che prevede una lunga e difficile quaresima (che dura 7 settimane), nella quale molti fedeli decidono di non mangiare carne, uova, latticini e bere alcol, per tutti i 48 giorni, intesi come purificazione assoluta del corpo e dello spirito. Alcuni scelgono anche di seguire quella che viene chiamata quaresima nera, che prevede un digiuno assoluto, senza cibo ne acqua, da giovedì santo fino a sabato notte, dopo la messa di resurrezione. L’ultima settimana, Săptămâna mare, la Grande settimana, è anche di lutto, di meditazione e di sofferenza. Le messe che si svolgono questi giorni sono particolari: il Giovedì Santo vengono letti i 12 vangeli, uno per ogni ora del giorno, mentre il Venerdì Santo, o Venerdì nero, come lo chiamano i credenti, si celebra la messa di requiem, Prohodul, una messa funebre che include un momento particolarmente emozionante, in cui i fedeli circondano la chiesa, con le candele accese, ripercorrendo simbolicamente la Via Crucis, con le sue 14 stazioni. Al nuovo ingresso nella chiesa, i credenti passano sotto l’epitaffio, un pezzo di stoffa, mantenuto da quattro uomini, che porta ricamato o dipinto la sepoltura di Cristo.
La messa della risurrezione inizia sabato a mezzanotte, quando nelle chiese si spengono le luci e il prete esce dall’altare portando la candela accesa e invita tre volte i fedeli ad attingere la luce con le loro candele: “Venite a prendere la luce! (Veniţi de luaţi lumină!). Questo invito ha un valore simbolico sia per la funzione liturgica, che prosegue poi anche fuori la chiesa, sia per i fedeli che si passano l’un l’altro la fiammella, un gesto che crea un avvicinamento spirituale tra le persone. Dopo il rituale iniziale il sacerdote si rivolge ai fedeli dicendo “Cristo è risorto!” (Hristos a Ȋnviat!), e loro rispondono “E’ veramente risorto!” (Adevărat a Ȋnviat!). Tutta la messa viene accompagnata dai canti bizantini, intonati non solo dal coro ufficiale della chiesa ma anche dalla folla. I fedeli tornano a casa con la candela accesa, perché si dice che coloro che riescono a tenere accesa sempre la luce presa in chiesa fino all’arrivo a casa avranno un anno benedetto.
La tradizione vuole che, ritornate dalla messa, le famiglie si siedano intorno al tavolo bandito e, prima di iniziare lo “strano” pranzo pasquale nel cuore della notte, mangino il pane benedetto imbevuto nel vino, come simbolo del corpo e del sangue di Cristo. In mezzo al tavolo c’è il simbolo pasquale per eccellenza: le uova rosse. Colorare le uova di rosso è un rituale che simboleggia il sacrificio, il sangue di Cristo. Una leggenda racconta che, dopo la crocifissione di Gesù, i rabbini e i farisei abbiano organizzato un pranzo festivo e uno di loro abbia detto: “Quando questo gallo che mangiamo ritornerà in vita e queste uova diventeranno rosse, solo allora Gesù risorgerà“. All’improvviso, come per miracolo, le uova si sarebbero dipinte di rosso.
L’uovo, già di per sé simbolo di vita e di fertilità, è sempre stato visto come segno di resurrezione. La tradizione contadina dice che le uova di Pasqua hanno il potere speciale di proteggere gli animali della fattoria e la famiglia che vi abita. Infatti, è vietato buttare via il guscio, che invece viene seppellito alla radice degli alberi, per dare fertilità alla terra. Nei villaggi, la mattina di Pasqua la gente si lava il viso in un catino d’acqua con un uovo rosso e una monetina dentro, per essere sani e ricchi tutto l’anno.
Inizialmente, le uova venivano colorate solo di rosso, coi pigmenti delle foglie di cipolla, ma oggi sono dipinte in colori vari e si ritrovano su tutti i tavoli per essere donate, nel giorno di Pasqua. La tradizione delle uova dipinte, così antica, è stata portata al rango di arte da molti artigiani rumeni, che dipingono le uova in maniera fantasiosa, con simboli tradizionali o moderni. In Romania ci sono vari centri artigianali che conservano questo mestiere ancora vivo, e sono stati addirittura aperti vari musei delle uova dipinte, încondeiate. Spesso sono delle vere e proprie opere d’arte.
Le uova colorate sono anche i protagonisti di una tradizione popolare caratteristica, molto amata dai bambini: la battaglia delle uova. Il pranzo pasquale inizia proprio con questa strana gara delle uova: ognuno impugna in mano il proprio uovo sodo, lasciando la parte appuntita dell’uovo verso l’alto, scoperta. A questo punto si colpisce l’uovo dell’avversario e viceversa. Il grido di “battaglia” è: “Il Cristo è risorto!” e “Davvero è risorto!”. Dal primo uovo che si rompe devono mangiare tutti i membri della famiglia, perché si dice che in questo modo rimarranno sempre insieme. Dopo innumerevoli sfide con i commensali, vince l’uovo più resistente, ovvero colui che a fine del giro avrà l’uovo meno danneggiato. Gli anziani credono che il proprietario di questo uovo sia il più forte ed è quello che resisterà maggiormente alle malattie. Una variante di questa tradizione prevede che il perdente, ovvero quello con l’uovo maggiormente danneggiato, debba poi mangiare tutte le uova in gara. Nonostante si tratti di una gara piuttosto impegnativa per il fegato, sono ancora in molti a rispettarne le regole!
A dispetto del motto italiano, la Pasqua romena si passa per tradizione in famiglia. Uova sode a parte, il menù prevede una zuppa acida chiamata ciorba, insalata, sottaceti, agnello al forno o arrosto e un particolare polpettone chiamato drob, una specie di coratella d’agnello, fatta con le frattaglie, pane umido, molto prezzemolo, aglio e cipolla verde. I dolci tipici sono la pasca, una torta a base di pasta frolla, uvetta sultanina e ricotta, che viene preparata solo una volta all’anno, per la Pasqua appunto. Ha una forma circolare, per simboleggiare la culla di Gesù e sopra viene fatto il segno della croce. Un altro dolce casalingo che si ritrova sulla tavola di Pasqua è il cozonac, una sorta di panettone fatto in casa, riempito con semi di papavero o noci. In cucina, nella settimana santa, si radunano le donne della famiglia che di generazione in generazione imparano le ricette tradizionali, con un sentimento di profonda sacralità oltre e calore domestico.
Il Lunedì di Pasqua, l’italiana “pasquetta”, si svolge un’altra antica tradizione, soprattutto in Transilvania, al nord, chiamata udatul (l’annaffiare). Nei villaggi le ragazze e le donne vengono “annaffiate” con acqua di sorgente. Nelle città invece, dove le sorgenti scarseggiano, si utilizza del profumo, augurio di bellezza, freschezza, salute. Che tutte le “donne siano tutto l’anno come la primavera”! Dalle prime ore del pomeriggio, le città si riempiono di gruppi di uomini e ragazzi, che suonano alla porta della donne, muniti di bottigliette di profumo, pronunciando frasi del tipo: “Ho sentito che qui c’è un fiore, sono venuto ad annaffiarlo“, e le ragazze vengono così profumate. Ai ragazzi gli si offre un bicchiere di grappa e un dolce. Il rituale si protrae fino alla tarda serata, quando, per via dell’alcol, sono in pochi a ricordarsi la strada di ritorno.
La grappa in Romania non si rifiuta, è segno di malaugurio…
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